2.1 La tragedia di un uomo ridicolo
La compagnia di avanspettacolo "Polvere di stelle" riparte da un paesino di provincia dopo un insuccesso. Sul treno Liliana Antonelli (Carla Del Poggio), una giovane lettrice di Bolero film scappata di casa, si presenta al capocomico, il fucinatore di ilarità Checco Dalmonte (Peppino De Filippo), che cerca subito di approfittare di lei, ricevendone in cambio solo uno schiaffo.
Liliana riesce comunque ad entrare nella compagnia. Qui ottiene subito un grande successo, per la verità favorito da un "incidente" non voluto ma assai piacevole per gli spettatori: in scena le cade la gonna. L'entusiasmo del pubblico per tale imprevisto finisce col far arridere alla compagnia tutta un insperato successo e al tempo stesso promuove Liliana al rango di soubrette.
Checco si invaghisce disperatamente di lei, lascia la sua compagna - la trasformista Melina Amour (Giulietta Masina) - e cerca di lanciarla nel mondo della rivista. Liliana lo usa per accalappiare un famoso impresario della capitale che la farà entrare in un importante spettacolo. Checco ne esce distrutto; la rivista che aveva organizzato per Liliana crolla miseramente, viene cacciato dalla pensione in cui viveva e, senza soldi, ritorna nella vecchia compagnia e da Melina Amour che è ancora innamorata di lui. Sul treno che li riporta, per l'ennesima volta, negli scalcinati teatri del Lazio, nota una bella ragazza e inizia a farle la corte...
2.2 Un difficile debutto
2.2.1 Sfida ai produttori
La prima opera di Fellini come regista è, in realtà, solo relativamente tale. L'iniziativa per la realizzazione di questo film parte, infatti, da Lattuada che, dopo la realizzazione de Il mulino del Po, non è più riuscito a portare in fondo una pellicola per l'opposizione dei produttori ai suoi progetti ritenuti scomodi. A seguito dell'ennesimo progetto abortito, Lattuada decide di intraprendere la strada della produzione, proprio per aggirare le pastoie burocratiche e censorie che gli erano state imposte fino ad allora dalle case produttrici. In questa operazione coinvolge il giovane sceneggiatore Federico Fellini e lo convince a fare il grande salto nella regia.Forte anche della presenza di sua moglie Carla Del Poggio - a quei tempi una delle attrici più ricercate - e di Peppino De Filippo. Lattuada mette così in atto i concetti da lui espressi in alcuni interventi pubblici come in un convegno a Perugia nel 1949, dove disse testualmente: "Io non credo ad altre soluzioni del problema se non a quella che dia autonomia di creazione al cinema, lo metta in grado di essere un fatto individuale... Abbandonato a se stesso, il cinema cade nelle mani della speculazione più volgare."
Dopo alcune riunioni orientative, la scelta del soggetto cade sul mondo dell'avanspettacolo, una decisione ovviamente influenzata da Fellini e dal suo cosceneggiatore Pinelli, che quell'ambiente conoscevano perfettamente per averlo frequentato assiduamente nel decennio precedente.
In questo mondo l'autore romagnolo era entrato nel 1939 quando, per la rivista Cinemagazzino (una delle molte a cui collaborò in quel periodo), aveva realizzato una serie di interviste per spiegare ai lettori del settimanale che cosa era l'avanspettacolo. Tra gli intervistati figurava Aldo Fabrizi che, preso da simpatia per il giovane cronista, lo assunse poco dopo per scrivergli i testi di alcuni suoi sketch. Fellini era già discretamente famoso per le rubriche che teneva al Marc'Aurelio, il settimanale satirico più venduto tra i giovani in quegli anni. La palestra del Marc'Aurelio, insieme proprio all'avanspettacolo , è stata determinante per la nascita di una scuola di sceneggiatori capaci di adattarsi ad ogni forma di spettacolo (rivista, prosa e televisione) e ad ogni tipo di genere cinematografico. Vi parteciparono Zavattini, Maccari, Marchesi, Metz, Steno, Verde e altri che costituiranno il fulcro su cui si innesterà il felicissimo momento del cinema nostrano del dopoguerra con il neorealismo prima e la commedia all'italiana poi.
L'amicizia con Fabrizi apre a Fellini le porte dell'avanspettacolo che esercita su di lui una profonda influenza al punto che il ricordo di questa forma di teatro tornerà spesso anche in altre pellicole, quali I vitelloni, Le notti di Cabiria, Roma. Queste frequentazioni gli permisero di conoscere fino in fondo personaggi e luoghi che ha poi riproposto in Luci del varietà.
2.2.2 Critiche e incassi
Il realismo delle situazioni narrate venne, d'altro canto, riconosciuto dalle recensioni della stampa specializzata. L'apprezzamento assume maggiore valore tenendo conto che la critica di sinistra si era unanimemente schierata a favore del neorealismo al punto di porre come unità di misura estetica le teorie elaborate da Zavattini nell'immediato dopoguerra. Nella critica di Bianco e nero, diretto da Luigi Chiarini, si dice: "Luci del varietà riesce ad ottenere ciò che Lattuada non ottenne mai finora: l'interpretazione veritiera e sensibile di un piccolo mondo". Una valutazione che acquista ancora più importanza se si considera che la rivista era pubblicata dal Centro Sperimentale di Cinematografia, ente statale controllato direttamente dal governo che ne nominava i direttori. Qui sta la dimostrazione della forza dirompente del neorealismo, capace di esercitare una forte influenza anche quella parte della critica cattolica che cercava di temperare gli attacchi a testa bassa contro questo movimento culturale di altri organi di stampa.
Su Cinema, dove è invece forte l'influenza di Guido Aristarco e della critica di sinistra, la difesa del film è assai meno diplomatica. Non solo si attribuisce gran merito del realismo dei personaggi al contributo di Fellini - considerazione dovuta ai precedenti rosselliniani del regista - ma si condanna in modo perentorio e brutale Vita da cani, film concorrente sul mondo dell'avanspettacolo prodotto da Carlo Ponti. Infatti per la rivista "la vicenda si sviluppa alla maniera dei fumetti, seguendo tutti i luoghi comuni e vieti della bassa letteratura [...] ponendo i guitti sullo stesso piano amorfo e d'appendice" . Anche la letteratura risentiva del clima di contrapposizione che si era creato nel mondo della cultura e che avrà importanti riflessi all'interno della nostra ricerca da La strada in poi. Persino Aldo Palazzeschi, infatti, pone l'accento sulla verosimiglianza della ricostruzione del mondo del varietà, affermando che "il regista (Palazzeschi considera Fellini semplice coadiuvatore) prende a braccio lo spettatore e gli mostra quel mondo non preoccupandosi di farglielo vedere né meglio né peggio di quello che è".
Simile iniziativa solleva probabilmente le ire delle case produttrici timorose di perdere il controllo del mercato. Così, per contrastarla, Carlo Ponti mette subito in cantiere - come s'è già fatto cenno - un film sullo stesso argomento, dopo aver per anni rifiutato, curiosamente, un soggetto analogo a Fellini e Fabrizi, ingaggiando proprio l'attore romano e affidandone la regia a Monicelli. Inoltre la lobbie dei produttori esercita pressioni affinché il comitato tecnico per la cinematografia (ente previsto dalla legge sul cinema del 1949) neghi ai due registi il premio supplementare dell'8% riservato alle imprese di particolare valore artistico. Grazie ai mezzi a disposizione di Ponti, Vita da cani esce alcuni mesi prima di Luci del varietà influenzandone, ovviamente in modo negativo, l'andamento commerciale già gravato da grosse difficoltà distributive. Mentre il primo raggiunge la 34esima posizione tra gli incassi dei film italiani nella stagione 1950/51 con 255 milioni, Luci del varietà giunge solo 65esimo con un realizzo di 118 milioni, lasciando dietro di sé solo debiti.
L'ingloriosa conclusione economica di questo film non deve comunque far dimenticare la sua importanza che sta, come sottolineato dalle recensioni riportate, nella ricostruzione di un universo oggi ormai scomparso, ma così importante sia per l'immaginario collettivo del cosiddetto "maschio italiano" negli anni appena successivi alla guerra, sia per i gusti del pubblico in quel periodo. Questo unanime riconoscimento rende peraltro credibile la ricostruzione del mondo dell'avanspettacolo proprio tramite il film in questione e i personaggi in esso rappresentato.
2.2.3 Non solo lustrini
La compagnia "Polvere di stelle" è lo specchio fedele della realtà delle piccole compagnie che sopravvivevano con stentate e avventurose tournée in provincia o con esibizioni nei più malfamati locali delle grandi città. Se per le grandi stelle della rivista (Totò, Fabrizi, Magnani, Osiris, Macario ecc.), infatti, il successo era in qualche modo garantito, le compagnie minori, come quella raffigurata nella pellicola, dovevano invece adattarsi di volta in volta alle piazze in cui si esibivano. Nelle località più popolose si faceva mezz'ora o 45 minuti di avanspettacolo che si trasformavano in uno stiracchiato show di 1 ora e mezza negli abitati più piccoli in cui l'arrivo anche della più scalcinata rivista esercitava un notevole richiamo. A questa regola non sfuggivano anche personaggi di un certo calibro come Achille Togliani, in quegli anni cantante molto in voga.
Il cast di queste compagnie era sempre alquanto raffazzonato, messo insieme quasi casualmente. La "Polvere di stelle" può essere considerata come archetipo dell'organizzazione di quegli spettacoli. Ogni artista faceva più di una cosa, come Checco Dalmonte che si trasformava da comico nel misterioso "fanatizzatore delle platee", o come Melina capace di reinventarsi, in modo più o meno credibile, trasformista o esperta danzatrice di tango. Le bellissime girls, sempre vistosamente annunciate in cartellone, erano per lo più reclutate tra giovani disoccupate, ma spesso erano anche le sorelle o le amiche di qualcuno della compagnia o ragazze che speravano di far carriera come la Liliana del film, ingaggiata senza troppi problemi dopo che aveva offerto il viaggio in carrozzella agli artisti per condurli dalla stazione dei treni al teatro in cui la compagnia doveva esibirsi.
Occorre dire che la considerazione popolare le poneva quasi ovunque allo stesso livello delle prostitute, poiché molte di loro di frequente integravano i magri guadagni col fare la entreneuss. Queste ragazze, poi, erano tutt'altro che attraenti, proprio come il corpo da ballo visto nel film che non spiccava certo né per bellezza, né per senso del tempo, né per agilità. Avveniva, invece, molto spesso che il balletto costituisse un che di divertente per le sue scoordinate movenze. Rinaldo Geleng con Fellini le chiamava le "strappone" e le ricorda in modo molto prosaico dicendo che "si perdevano i grassi da tanto che erano ciccione" e che per lo più erano del tutto incapaci di tenere il tempo. Alcune di esse, oltretutto , erano anche anziane, come una ungherese sessantenne che si esibiva nella "Morte del cigno" in modo talmente maldestro che il suo compagno di allora, Giovanni Senzani - personaggio che si ritroverà in seguito - la derideva durante il suo numero dicendo: "Mo' more davero!". Zapponi le rammenta perché non erano capaci di ballare, ma "in compenso" cantavano molto male , proprio come la protagonista femminile del film.
Tuttavia sarà bene anche sottolineare che in una società che aveva patito il soffocante moralismo del regime fascista, l'apparizione di una gamba nuda costituiva un evento straordinario, soprattutto nelle piccole piazze della provincia. Il che spiega la reazione del pubblico all'improvviso incidente che, durante lo spettacolo, fa cadere la gonna a Liliana. L'universo maschile entra immediatamente in fibrillazione e si crea così quell'atmosfera d'entusiasmo che decreterà il successo dello spettacolo fino a quel momento oggetto, invece, di fischi e insulti. Non è azzardata, a tal proposito, l'analogia della passerella del corpo di ballo con la sfilata delle prostitute nei casini mostrate nei film successivi di Fellini.
Del resto le cose non miglioravano molto anche in compagnie di medio livello. Nella rivista che si esibisce a Rimini, all'interno del film I Vitelloni, i boys che fanno da contorno alla "Osiris" di turno sono certo ben lontani dagli aitanti e muscolosi atleti che si esibiscono oggi in televisione. I due qui mostrati si distinguono perché uno è calvo mentre l'altro è terribilmente strabico.
Se le ballerine stimolavano la fantasia erotica dello spettatore che perciò non badava troppo alle scarse doti artistiche o di avvenenza di queste ragazze, gli altri numeri erano assai spesso oggetto di insulti da parte della platea, che non perdeva mai occasione per far sentire la propria voce. Nel film sono mostrate alcune esibizioni che paiono paradossali come quella del finto fachiro indiano e ventriloquo Edison Will che dà la voce alla sua oca. Oppure quella della trasformista Melina che, dopo essere stata sbeffeggiata durante tutto il suo numero, induce alla commozione gli spettatori quando imita Garibaldi con tanto di inno italiano.
2.2.4 "Da mangiare si rimedia sempre"
Tuttavia il personaggio principale, nel film come nella rivista, è sempre il comico, in questo caso Checco Dalmonte. Il nostro eroe è certamente il risultato dell'assemblaggio delle caratteristiche di diversi protagonisti della scena del varietà di quegli anni. Gente che proveniva quasi esclusivamente dalla provincia, moltissimi napoletani, che forse credevano di trovare l'Eldorado. Geleng ne ricorda uno che lui, Fellini e Fabrizi avevano frequentato a lungo e che aveva molti aspetti in comune con Checco. Si tratta del già citato Giovanni Senzani. Quest'uomo viveva solitario in camere d'affitto come il personaggio del film e come gli stessi Fellini e Geleng negli anni 39-43. Senzani era un fanfarone, si inventava successi inesistenti e avventure improbabili. Accumulava, invece, debiti su debiti, pagandoli non appena riusciva a racimolare qualcosa. Per mangiare, però, si sottoponeva a qualunque umiliazione. Spesso andava con donne bruttissime e vecchie o inventava espedienti di qualsiasi genere, come tenere durante l'estate i cani di coloro che andavano in vacanza per poter mangiare il loro cibo. Il suo modo di parlare è stato, secondo Geleng, imitato da Tino Scotti. D'altro canto tutti gli artisti si conoscevano perfettamente e i plagi erano non solo numerosi, ma inevitabili. Anzi in molti casi per campare si vendevano le proprie gag o le canzoni a comici più famosi.
Il luogo di incontro per tutti i personaggi dell'ambiente era la Galleria Colonna, descritta anche da Alberto Sordi, che quella vita aveva realmente fatto all'inizio della sua carriera, in Polvere di stelle (1972). Qui si organizzavano tournée raccogliticce che a volte non garantivano neppure un misero guadagno. E' impossibile non ravvisare somiglianze tra Senzani e il personaggio di Checco, anche se, ovviamente, gli sceneggiatori si sono ispirati anche ad altre figure della rivista.
2.2.5 L'eredità del Circo Massimo
Difficile spiegare i motivi che spingono una persona a fare una vita così piena di sacrifici e umiliazioni. Il pubblico certo non ricompensava questa loro dedizione assoluta verso il teatro con complimenti e applausi, anzi. I vari numeri erano spesso un intervallo poco gradito tra un balletto e l'altro. Se nei teatri di provincia gli apprezzamenti pesanti e l'entusiasmo per le ballerine è condizionato dalla presenza più o meno numerosa di donne e bambini, nella capitale l'avanspettacolo è eletto a forma massima di divertimento. Erede della tradizione del Circo Massimo , lo spettacolo durava complessivamente dalle 3 alle 4 ore all'interno di un ambiente chiuso, pieno di fumo, scomodo e maleodorante. Se per i teatri più importanti il decoro era ancora tenuto in considerazione, in quelli di second'ordine si poteva fare di tutto, come accade in Roma dove una donna fa mingere il proprio figlio nel corridoio. Gli spettatori capitolini, certamente assai più disincantati rispetto al pubblico di provincia e anche molto più rumorosi, affrontavano con feroce consapevolezza la serata. Anzi il dileggio era eletto a forma d'arte, una dimostrazione di personalità. Il lancio del gatto morto (anche questo mostrato in Roma) era una specie di forca caudina a cui si dovevano sottoporre, prima o poi, tutti i comici come è sovente accaduto a Renato Rascel che, stando alle parole di Geleng, ne aveva "presi talmente tanti che se li sognava di notte!".
2.2.6 Dalla vita comune al palcoscenico
Resta ancora da tracciare un ritratto adeguato della protagonista femminile: Liliana. Questa donna, una vera e propria arrampicatrice sociale, che vede nell'avanspettacolo il mezzo per ottenere la fama e la sicurezza economica, appare per la prima volta durante una esibizione della compagnia "Polvere di stelle". In mano tiene Bolero, uno dei fotoromanzi più venduti in Italia. Del suo passato si sa poco: è probabilmente orfana (forse di guerra) e non si riesce a capire se vive col padre o con dei parenti con cui, comunque, non ha un buon rapporto. Il suo unico credito è di aver vinto una maratona di ballo di settanta ore e il suo più grande desiderio è di "entrare in arte". Il suo passato, i suoi desideri accomunano a questa figura la vicenda delle molte ragazze sbandate protagoniste di numerose pellicole nel dopoguerra. Liliana è, infatti, la sorella più fortunata del personaggio, da lei stessa interpretato, in Senza pietà 1947, dello stesso Lattuada, e della Silvana Mangano di Riso amaro 1949 di De Santis. Anche lei è uscita dalla guerra segnata, desiderosa solo di raggiungere i propri sogni e incapace di comprendere la realtà. Liliana, però, non si fa travolgere da essa non scivola, come i due personaggi di Riso amaro e di Senza pietà, nella tragedia nel tentativo di cancellarsi e dimenticare il proprio passato. Lei usa, invece, la sua bellezza, e il suo corpo, per raggiungere il proprio scopo: il successo, la fama e la ricchezza o, almeno, l'agiatezza. Tuttavia l'ultima sua apparizione è speculare al suo ingresso nel film quanto a "cultura". Mentre si sta recando a Milano, dove parteciperà ad una importante rivista, porta con sé ancora dei fotoromanzi, dimostrazione evidente della sua incapacità di uscire dal suo ristretto orizzonte per entrare appieno nella realtà che le sta intorno.
Questo mondo, questi personaggi vengono inghiottiti dalla irreversibile crisi dell'avanspettacolo travolto prima dall'avvento delle grandi riviste e poi dal successo della televisione. Pochi di loro sapranno adeguarsi e sopravvivere alla nuova "civiltà" che avanza. Gli uomini come Checco, invece, scompaiono tristi e miserabili, abbandonano il palcoscenico e i sogni per tornare alla vita comune di tutti i giorni.
2.3 Il primo dopoguerra: una lenta ripresa
2.3.1 1950 anno di tensioni
La scomparsa di questa forma di spettacolo può sembrare in sé poco importante. Tuttavia proprio l'esame al microscopio di questo mondo può permetterci di comprendere parte dell'evoluzione dell'identità culturale dell'Italia dalla guerra fino al cosiddetto boom economico. Per arrivare a questa definizione è però necessario tracciare un quadro della situazione economica della nostra penisola al momento della realizzazione del film (1950), aiutati in questo dalle vicende narrate in Luci del varietà.
La situazione è ancora difficile. I passi compiuti da De Gasperi per avvicinare l'Italia sempre più alle potenze occidentali creano una lacerante contrapposizione nella società civile, aggravata dall'intervento statunitense in Corea del Sud dopo che il 25.6.1950 i nordcoreani avevano oltrepassato con il proprio esercito il 38° parallelo che fungeva da confine tra i due stati.
Nei primi mesi del 1950 nella nostra penisola l'atmosfera si fa sempre più tesa. Il 9 gennaio la polizia apre il fuoco a Modena durante una manifestazione operaia causando sei vittime. La forte reazione dell'opinione pubblica che ne scaturisce contribuisce alla decisione di De Gasperi di dare il via alla riforma agraria e ad alcune misure compensative per il Mezzogiorno, così attardato sul piano economico, allo scopo di alleggerire le forti tensioni sociali.
Tali fatti, naturalmente, non traspaiono all'interno della pellicola. Ad una superficiale osservazione, infatti, questi guitti sembrano non accorgersi di quello che accade al di fuori del loro mondo. Questo è del resto una peculiarità di tutta la prima parte dell'opera felliniana. E' piuttosto il loro modo di vivere, la loro mentalità, l'arte di arrangiarsi, i mezzucci usati per sopravvivere che fanno cogliere il "clima" economico - sociale generale che fa da contorno e supporto alle loro vicende personali. In qualche modo si potrebbe dire che essi "esistono" come personaggi proprio in quanto lo sfondo li "legittima" ad essere tali. Dunque, al contrario di quanto appare, essi "sono" nel mondo e ne sono un aspetto tutt'altro che irrilevante. E quando scompaiono dai film è perché in effetti il mondo ha virato, ha intrapreso un'altra strada nella quale essi non hanno più non solo una legittimazione ad esistere, ma neppure vengono "tollerati" come fantasia o immaginazione. In una parola entrano nell'inerte passato.
2.3.2 Vivere tra l'onore e la fame
All'inizio del film viene mostrato il cartellone dello spettacolo. Sopra vi si può leggere il costo del biglietto. In questo piccolo paesino della provincia laziale una serata con avanspettacolo e film western costa 110 lire per una poltrona e 75 per un posto tra i distinti. Inoltre vengono previste le riduzioni per ragazzi e militari che possono entrare pagando solo 50 lire. Grazie a questa immagine è possibile fare un raffronto con il costo dei biglietti sul territorio nazionale. Nel 1950 il prezzo d'ingresso medio per uno spettacolo di rivista era di lire 529, per uno di varietà 148, di un film 346. Un altro dato interessante si riferisce alla sola Italia centrale dove teatro e rivista costavano rispettivamente 297 e 142 lire.
Appare dunque evidente che le zone battute dalla compagnia teatrale erano particolarmente depresse, anche in considerazione del fatto che uno spettacolo di questo tipo non doveva giungere spesso in quelle località. La povertà risulta maggiormente visibile quando a Sutri, piccolo centro in provincia di Viterbo di circa duemila abitanti, i guitti vengono ospitati da un avvocato che si intuisce esser parte della "ricca borghesia" del paese, o almeno di quella che in quelle condizioni sembrerebbe essere tale. L'avvocato, infatti, segue la rivista da una palco in compagnia di un dottore e di un presunto duca. Ma più che all'arte, i tre sembrano interessati solo ed esclusivamente alle "stelle" della serata, per cui snobbano le ballerine di fila che, alla fine dello spettacolo, se ne vanno con i soliti giovanotti del paese . La casa del leguleio è assai significativa del livello economico di questa borghesia di paese e di un certo tessuto economico locale che poi riflette gran parte della provincia italiana d'allora. Essa è posta in"alto", su di una collina, anche se poi per arrivarci non esiste una strada asfaltata. Lo stesso avvocato deve recarvisi a piedi poiché, probabilmente, non dispone di propria autovettura. L'interno della casa è abbastanza spoglio, disadorno. La cucina è una grande stanza con spesse mura e grandi credenze nere; dal soffitto pendono cipolle, pomodori, salami in modo del tutto somigliante alla casa dei contadini mostrata nel successivo Il Bidone.
La dovizia di cibo presente nella cucina dell'avvocato esercita sui guitti un richiamo irresistibile; che contrasto con i magri pasti da loro consumati sui treni o nelle osterie! Un buon piatto di pasta e una bottiglia di gustoso vino sono i mezzi di cui si serve il legale per tacitare le coscienze dei commedianti mentre cerca di concupire Liliana. La fame non era d'altro canto fatta solo dagli artisti. Nel 1950 il consumo annuo pro capite degli italiani è di 165,5 Kg di frumento contro i 180 del decennio 1921-31; 6,9 Kg di carne bovina, l'ammontare più basso mai registrato tra il 1916 e il 1939; 6,5 Kg di uova, quota irrisoria nel periodo 1926-50; 79,8 litri di vino, immesso nel mercato in quote inferiori solo in pochissimi altri anni. A questo bisogna aggiungere che quasi 4 milioni e mezzo di famiglie non mangiavano mai carne e altre tre milioni la consumavano una volta alla settimana. Esaminando poi le condizioni abitative si scoprirà che: il 76% delle case è provvisto di cucina; il 52% di acqua corrente; il 27% del bagno; il 7% di telefono. Non sono dati che debbono sorprendere in quanto nel 1951 ancora il 3% delle famiglie - circa 870.000 - viveva in abitazioni improprie (cantine, soffitte, baracche, grotte), mentre il 21% abitava in appartamenti sovraffollati (più di due persone per stanza).
Nonostante questo l'Italia, o per meglio dire una parte di essa, si stava avviando verso il risanamento. Nel 1950 la bilancia commerciale presenta, per la prima volta dopo la guerra, un saldo positivo. La società italiana è ancora fortemente influenzata dall'agricoltura che nel 1951 contribuisce per il 20% alla formazione del prodotto interno lordo e con il 44% alla occupazione. Le regioni più industrializzate risultano essere Piemonte, Lombardia e Liguria. Tutte le altre vengono considerate scarsamente industrializzate; nel caso di Puglia, Campania, Basilicata, Abruzzo e Molise, Calabria e Sicilia, zone in cui gli occupati nell'industria scendevano al di sotto del 5% della popolazione, lo sviluppo del settore era assolutamente insufficiente.
Proprio le regioni settentrionali sono le beneficiarie della politica di "sviluppo infrastrutturale" intrapresa o facilitata dal governo che porterà poi alla intensa emigrazione dei decenni successivi. In questi anni Roma riafferma la sua presa sull'immaginario collettivo grazie anche alla inesauribile azione del Papa che con l'anno santo del 1950 ridà slancio alla sua immagine nel mondo. Anche il cinema e Cinecittà riprendono vigore, incoraggiando sogni proibiti e speranze di successo illusorie che trovano sfogo nella enorme diffusione dei fotoromanzi. Le vicende cinematografiche di Fellini tornano dunque ad intersecarsi con i miti degli italiani in una nuova pellicola, la prima diretta da solo, Lo sceicco bianco.
2.4 Una cultura in dissolvenza
2.4.1 Sesso e doppi sensi alla ribalta?
Si dovrebbe a questo punto trarre delle conclusioni per dare un senso alla analisi di questo film. Non è però facile per via della difficoltà di reperire dati oggettivi al proposito. Si può però dire che l'avanspettacolo beneficia, come tutta la società italiana del resto, di un'improvvisa e inaspettata libertà che si trasforma rapidamente in una stagione eccezionale di licenziosità e di turpiloquio. Maestro delle cerimonie è considerato l'inventore dell'Uomo Qualunque Guglielmo Giannini che dai giornali chiama "ederasti" i repubblicani e "Andreottino Culicide" il sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Dopo il 1948 si assiste alla controffensiva dei cattolici che, grazie alla ritrovata efficienza della censura, chiudono ogni spiraglio di tolleranza accettando solo, ma non sempre, i doppi sensi. La reazione del Centro Cattolico Cinematografico - ente diretto dall'infaticabile Luigi Gedda, zelante braccio armato nella società civile di Pio XII - è violenta. La recensione emette un giudizio durissimo: "Nel lavoro abbondano gli elementi negativi. Ricordiamo: il concubinaggio di Checco, altre situazioni scabrose, il dialogo spesso scurrile, costumi succinti, danze sguaiate, primi piani licenziosi. Benché la misera vita dei guitti ispiri pietà, il film risulta moralmente censurabile. La visione è esclusa per tutti."
E' da notare come il C.C.C. ponga molto l'accento sul concubinaggio di Checco. Era uscito proprio nel 1950 il libro di Luigi Renato Sansone Fuorilegge del matrimonio, una raccolta di lettere che voleva aprire una discussione sul divorzio. Questo e altri avvenimenti inaspriscono ancora di più la sessuofobia di vescovi e preti che iniziano una martellante campagna moralizzatrice di cui ancora rechiamo i segni.
Una situazione di questo tipo porta ad una autocensura da parte di produttori e registi, incalzati dalla silenziosa ma strisciante azione dei sottosegretari che si succedevano alla delega per il cinema (Giuseppe Ermini, Oscar Luigi Scalfaro, Giuseppe Brusasca, Raffaele Resta) che non si scostarono mai dalla linea di condotta tracciata da Andreotti.
2.4.2 Dal crudo al cotto: la fine del neorealismo
Le preoccupazioni della vita quotidiana si aggiungevano dunque ad altri fattori come la belligeranza tra le due Coree e la guerra fredda che spingevano il pubblico a cercare di esorcizzare la paura di un nuovo conflitto mondiale rivolgendosi verso film di minore impegno e verso i fotoromanzi come fanno Liliana e la giovane sposina de Lo sceicco bianco. Queste due tendenze venivano riassunte dai film di Raffaello Matarazzo con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. E' in quel periodo che i due raggiungono il massimo successo, Catene trionfa ai botteghini insieme ai film di Totò che in quel periodo furoreggia con una lunga serie di pellicole di successo tra cui il celeberrimo Guardie e Ladri di Monicelli che incassa ben 653 milioni. A fare da doloroso contrappunto è il totale fallimento di due tra le opere più importanti del dopoguerra: Miracolo a Milano incassa solo 180 milioni e Bellissima di Visconti appena 160.
L'attenzione del pubblico nostrano non si rivolge al neorealismo, nel frattempo invidiatoci da tutto il mondo, ma ai melodrammi di Matarazzo, Costa e Brignone che utilizzano elementi che esamineremo in sede più idonea.
Ritorniamo perciò all'avanspettacolo e cerchiamo di comprendere i motivi che hanno portato alla sua scomparsa nel giro di pochi anni. Qualche dato ci può essere di aiuto in questo. Dagli annuari SIAE risulta che il cinema è passato da 661.549 biglietti venduti nel 1950 a 744.781 nel 1960; nello stesso periodo tutte le attività teatrali (rivista, prosa, concerti ecc.) sono invece calati da 20.979.311 a 10.574.581. Il calo delle presenze è di quasi il 50%, ma nel caso della rivista assistiamo alla perdita del 70% del pubblico. L'avanspettacolo era, come sappiamo, l'introduzione al film e a volte si trasformava in varietà; è impossibile quindi sapere quanti spettatori avesse. Il calo della rivista è però un dato che funge da segnale evidente della scomparsa di questo fenomeno contiguo ad essa.
E' difficile dare una spiegazione. Certamente questo tipo di manifestazione ha risentito della nuova cappa moralista, dall'avvento delle grandi riviste come della televisione. Non era più necessario rinchiudersi in quegli angusti teatri per sognare il mondo e per vedere delle donne seminude, inoltre non si poteva più far digerire al pubblico personaggi patetici come il finto indiano Edison Will di Luci del varietà senza cadere nel ridicolo. L'Italia usciva dall'isolamento culturale grazie al cinema americano e ai nuovi mezzi di comunicazione e uno spettacolo sguaiato e rabberciato mal si conciliava con le tragedie della giunonica Yvonne Sanson e con le avventure straordinarie delle star d'oltreoceano. L'ideale femminile non era più la ballerinetta da quattro soldi, ma Silvana Mangano o una delle dive di Hollywood, un mondo che si stava trasferendo proprio da noi, sul Tevere |