Dossier:

Il noir americano nel cinema di Jean Pierre Melville a cura di Luisa Carretti

Elementi del noir americano il Le Doulos e in Le Samourai.

I personaggi

Melville ha più volte affermato quanto per lui l’abbigliamento sia importante nella costruzione dei suoi eroi maschili. Innanzi tutto è da sottolineare il fatto che, come nel noir americano, il mondo dei malviventi sia frequentato da gente vestita in modo impeccabile (e questo premette di  confondersi anche ad un certo ambiente), che frequenta locali di lusso e guida automobili americane. Soprattutto in Le Doulos i paralleli con il noir americano sono piuttosto evidenti. Il fatto che tutti i suoi personaggi indossino cappello e impermeabile e guidino auto americane è da considerare sì un omaggio al noir, ma anche un modo per rispondere ad un cliché e poi servirsene nello sviluppo del proprio intreccio narrativo. Cappello e impermeabile si trasformano così in una sorta di corazza, di divisa che individua e rende anonimi nello stesso tempo. Se noi siamo in grado ad esempio di riconoscere la sagoma di Silien, Maurice e Jef  grazie a questi indumenti, gli stessi indumenti ci portano a confondere le loro silhouette creando ambiguità. Ad esempio in una delle sequenze centrali di Le Doulos: chi è l’uomo che è andato a dissotterrare i gioielli e la pistola? E’ Silien, ma in quel momento Melville riesce a creare ambiguità, e suscitare nello spettatore il dubbio che sia Maurice (nonostante quest’ultimo dovrebbe essere in prigione), proprio grazie all’ambivalenza del  loro abbigliamento. Come anche nell’ultima sequenza del film in cui la morte di Maurice è dettata dallo stesso equivoco: Kern, vedendo la sagoma di un uomo dietro la porta a vetri, è convinto che sia quella di Silien, per questo spara senza nemmeno aspettare di vederne il volto.
Lo stesso Jef, in Le Samourai  sfrutta la sua divisa per confondere i testimoni e quindi rendere anonimo un abbigliamento che sarebbe al contrario fortemente caratterizzante.
  Il regista si diverte a vestire nello stesso modo anche i poliziotti,  raccontando così un mondo in cui non è più  possibile individuare dove sia il bene  e dove il male, perché i rappresentanti di entrambe le parti sono strettamente legati da una serie d’interessi comuni e dall’uso degli stessi metodi per ottenere ciò che cercano.
All’abbigliamento si aggiunge la  rielaborazione di alcuni rituali che nel noir assumevano una dimensione sacrale: il fumo e il whisky. Tutti gli eroi melvilliani fumano e ordinano whisky. E se il fumo continua ad avere un forte significato simbolico, il whisky diventa un’abitudine con la quale i personaggi giocano.  Quando infatti  Jef  o Silien ordinano  whisky, per poi non berlo, sembra che lo facciano solo perché costretti da un cliché nel quale loro dovrebbero inserirsi, ma del quale si prendono gioco, soprattutto quando Silien versa il whisky sulla testa di una Thérèse  svenuta e legata al termosifone in seguito alla violenza subita. I gesti che caratterizzano i personaggi diventano altri: è il modo in cui Maurice fa scorrere le monete fra le dita della sua mano; è il gesto veloce del braccio, con il quale Jef scosta il polsino dal quadrante dell’orologio; è il fiammifero che il commissario Clain mastica o tiene in mano come una sigaretta, mentre espone a Silien la sua ricostruzione dei fatti; è il gesto con il quale Jef e Silien aggiustano la tesa del loro cappello, complemento fondamentale della loro divisa. Insomma come sempre c’è un continuo strizzare l’occhio al noir americano per poi rimaneggiarne i cliché, rendendoli parte integrante del complesso universo melvilliano.
Se volessimo individuare in uno dei personaggi colui che più si avvicina alle caratteristiche del personaggio classico del noir, dovremmo guardare a Maurice Faugel. Sin dall’inizio del film viene presentato come un fallito, un uomo sul cui presente pesa un passato che lo ha reso debole e gli ha fatto perdere fiducia in se stesso. Lo sguardo dolente e malinconico di Reggiani comunica perfettamente questo stato d’animo. Durante la prima sequenza del film c’è in particolare una frase di Maurice che ci fa pensare ad uno degli eroi del noir. Quando Gilbert gli accenna al furto di Neully, sottolineando quanto facile sia riuscire a realizzarlo, lui afferma: “…Je n’aime pas les trucs simples. Il y a six ans c’était simple aussi…”, facendo riferimento al colpo che lo ha costretto ad alcuni anni di prigione. Quest’idea del semplice del quale bisogna diffidare, perché porta in se il germe del fallimento, la ritroviamo anche in Doppio Gioco di Robert Siodmak, in cui il colpo al furgone blindato sarà fatale per lui e per la sua donna. Nonostante tutto Maurice  decide di partecipare al furto, forse per riacquistare credibilità ai propri occhi e a quelli dell’ambiente della malavita. Come l’eroe del noir, Maurice ha una visione non chiara della realtà, scaturita dalla consapevolezza di essere un uomo finito. Il fallimento è la marca costante delle sue azioni, nelle quali si legge l’affannoso tentativo di dominare nuovamente il proprio destino. Si affida alla donna che ama chiedendole di raccogliere informazioni sul luogo del furto, per poi scoprire che lei lo ha tradito vendendolo alla polizia; durante il colpo a Neuilly, come durante l’omicidio di Gilbert, i suoi gesti riveleranno un’imprecisione e un’indecisione che contrasta con la sicurezza e la meccanicità dei gesti di Silien e di Jef; si fiderà nuovamente di una donna,  Anita, la compagna  del suo amico  Jean, che ben presto aiuterà la polizia a ricostruire gli eventi e ad arrivare ai veri colpevoli, raccontando tutto quello che sa; commissionerà la morte del suo unico vero amico per poi cercare invano di salvarlo, rimettendoci la pelle.
Il suo doppio è Silien, uomo vincente e sicuro di sé, capace di controllare gli eventi  con una tale precisione da far pensare a lui come ad un Deus ex machina che manipola il tempo e le persone, senza destare sospetti sul suo possibile coinvolgimento. Il suo atteggiamento ricorda vagamente un altro protagonista di genere: il detective privato, di cui conserva non soltanto l’impermeabile male allacciato, ma anche la sigaretta eternamente in bocca o stretta fra le dita della mano destra, come pure il  fascino, la spregiudicatezza e la disillusione. Silien è cinico, violento e crudele, anche se alla fine del film manifesta un grande senso dell’amicizia, che potrebbe farlo considerare il solo personaggio positivo della storia. L’unico aspetto che, invece, Melville mutua dal criminale del noir è il destino di morte nel quale però Silien non si sente coinvolto. Va incontro alla sua morte in modo assolutamente incosciente,  perché ignaro di essere l’oggetto di un contratto stipulato dal suo amico Maurice,  ma nel momento in cui questa arriva inaspettata è in grado di affrontarla in modo dignitoso.
Stesso discorso per il protagonista di Le Samouraï, in cui però Melville introduce la sensazione di morte imminente che manca negli altri due personaggi. Jef, al contrario di Silien e Maurice, sceglie volontariamente la morte come manifestazione della sua forza. Decide di suicidarsi per essere ancora una volta un vincente. Importante, in quest’ottica, è la frase che lui pronuncia la prima volta che si reca in albergo per accertarsi della possibilità di ritornarvi dopo le due e costruire così il suo alibi:

Un giocatore: “ Emporte de l’argent si tu perdais.”
Jef: “ Je ne perds jamais. Jamais vraiment.”

Questa convinzione d’onnipotenza nei due eroi principali di entrambi i film (Silien e Jef) è piuttosto singolare e si allontana leggermente dall’idea di un eroe che ha coscienza della sua debolezza e che agisce nel tentativo disperato di sfuggirle, pur sapendo che non potrà riuscirci.

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