Dossier:

Il noir americano nel cinema di Jean Pierre Melville a cura di Luisa Carretti

Verso una definizione dell'universo melvilliano

Silien, Maurice e Jef di fronte allo specchio

Lo specchio e più in generale ogni sorta di superficie riflettente hanno nella filmografia melvilliana un ruolo di primaria importanza. Il regista, mutuando dal noir l’abitudine di moltiplicare i corpi e le azioni dei personaggi, consolida l’ambiguità di uomini e atmosfere. Ma compie anche un passo avanti facendo assumere allo specchio un significato ben più profondo: è l’occasione fornita all’eroe di fare i conti con se stesso osservando la propria immagine riflessa. Un’occasione che si ripropone continuamente, data la grande quantità di specchi di tutte le forme, con i quali arreda gli ambienti frequentati dai suoi personaggi.  Ma la  maggior parte delle volte l’eroe sembra quasi ignorarne la presenza e non curarsi della propria immagine sino a quell’evento che modificherà i suoi equilibri, costringendo ad un faccia a faccia con se stesso.
Maurice e Silien vivranno questo momento per ben due volte. Per quanto riguarda il primo non dovremo aspettare tanto, visto che quando lo conosceremo, all’inizio del film, il regista ce lo presenterà già in una fase di passaggio nella quale lui è costretto a rimettersi in discussione. Il piano in cui Maurice si osserva con disprezzo e severità corrisponde parallelamente a quello in cui il viso di Silien è intrappolato in quel piccolo specchio tondo, dalla cornice a raggiera, nel quale l’uomo cerca di ritrovare la dignità e l’onore di cui  è stato privato da quello sparo improvviso (una vera pugnalata alle spalle).
Per entrambi lo sguardo è l’assoluto protagonista, ma se per il primo è uno sguardo giudice colto mentre sta emettendo una sentenza definitiva sulla sua vita, per Silien è uno sguardo indagatore che cerca di assicurare che l’aspetto sia appropriata all’evento che sta per vivere, la morte.
Gli stessi specchi sono tanto diversi da rappresentare la diversità degli stati d’animo: uno specchio rotto e rettangolare per Maurice ( si è già spiegato nel paragrafo dedicato al personaggio come questo taglio sia l’espressione della doppiezza, ma anche della frattura interiore dell’uomo); uno specchio tondo e dalla cornice sontuosa per quel semi-dio la cui vita è stata una continua ascesa verso il potere. In più per Silien  la corona funeraria, commissionata in carcere da Maurice, prende forma e si concretizza in quell’altra corona, simbolo della sua forza: il cappello, che aggiusta sul suo capo, assicurandosi di affrontare la morte nel modo più degno per un vincente come lui.
Al contrario gli altri due incontri fra i personaggi e la loro immagine avvengono in situazioni diverse, ma legate da uno stato d’animo  molto simile: Silien è a casa di Fabienne, dopo averla convinta a testimoniare la sua verità,  rendendosi conto del trionfo delle sue strategie, si concede quel momento di assoluta auto esaltazione e compiacimento per la propria astuzia e abilità. Fingendo di guardarsi per sistemare il nodo della sua cravatta, non riesce a distogliere lo sguardo fiero e soddisfatto dal proprio viso riflesso in un grande specchio dalla cornice barocca, degna di un  vincente come lui.
Stessa espressione soddisfatta e serena per un Maurice appena uscito di prigione e convinto di essersi fatto giustizia, pagando la morte dell’amico traditore. Maurice si guarda allo specchio mentre si rasa nel bagno di Jean: uno specchio molto più piccolo e senza cornice che però registra quell’unico momento nel quale illusoriamente, Maurice pensa di aver riacquistato la propria dignità e la fiducia in se stesso. Convinzione che non tarderà ad essere smentita quando si renderà conto di aver commesso l’ennesimo e fatale errore.
  Diverso è il caso di Jef per il quale l’incontro con la propria immagine avverrà soltanto una volta ed assumerà dei connotati molto diversi.
 Il suo specchiarsi è il primo passo di un rituale che si concluderà con l’assoluzione del contratto, cioè il compimento dell’omicidio. Siamo proprio all’inizio del film, Jef si alza dal letto, osserva l’uccellino in gabbia, nasconde la metà del compenso accordatogli per il lavoro, poi si dirige verso l’uscita. La macchina da presa lo segue per poi osservarlo mentre  indossa la sua uniforme, facendo attenzione che tutto sia in ordine. Lo sguardo fisso sul suo viso, Jef indossa e abbottona con cura l’impermeabile, per poi dedicarsi per qualche istante al suo cappello. Melville cambia improvvisamente il punto di vista posizionando la macchina da presa accanto allo specchio per lasciarci studiare bene il volto di Jef, mentre compie dei movimenti che si fanno più attenti e rallentati, come se stesse maneggiando qualcosa di sacro. Mentre calca attentamente il cappello sulla sua testa e con un movimento delle dita ne distende la tesa, Jef si scruta con la solita espressione apparentemente neutra per controllare che tutto sia in ordine. In realtà questo sguardo ha un significato ancora più profondo, perché è lo sguardo di colui che valutando la sua esteriorità ha come obiettivo quello di assicurarsi della propria adeguatezza interiore al  ruolo di eroe/asceta. Il rito della vestizione, congiunto al modo in cui Jef studia il proprio volto, sono la via attraverso la quale l’eroe melvilliano tenta di confermare a sé stesso la perfezione del proprio essere e delle proprie capacità. Jef ha bisogno di questo momento per assicurarsi che quell’istintività e quella vulnerabilità alla quale ho fatto riferimento nel paragrafo a lui dedicato, siano ben compresse e nascoste in un’interiorità invisibile, in quel continuo gioco di affermazione/negazione che porterà il personaggio alla morte.

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