Dossier:

Il noir americano nel cinema di Jean Pierre Melville a cura di Luisa Carretti

Elementi del noir americano il Le Doulos e in Le Samourai.

Le tecniche di ripresa e il linguaggio del noir melvilliano

Nell’intervista concessa ad A. Aprà, G. Guégan e M. Ponzi, Melville afferma:

“(…)Più invecchio, più divento classico(…) Il fatto che io mi preoccupi di rendere i personaggi, e le loro motivazioni, più percettibili al grosso pubblico, non lede per nulla la personalità dei miei film(…)Si tratta evidentemente di cinema classico(…)La camera deve stare all’altezza dell’uomo(…)”

Un cineasta che attinge dalle regole del cinema classico per raccontare l’evoluzione di un momento narrativo, fino al raggiungimento del suo climax, scegliendo la successione dei piani, dal piano americano o campo medio, sino al primo o al primissimo piano. Pensiamo alla sequenza dell’incontro fra Silien e Fabienne presso il “Cotton club”: il dialogo fra i due è raccontato con l’alternanza di campi e controcampi, con piani che si fanno sempre più ravvicinati man mano che Silien riesce strappare a Fabienne (la donna di Nuttecchio) la promessa di un appuntamento per la sera stessa. Melville introduce però delle piccole infrazioni non facendo alternare piani d’insieme a piani ravvicinati (tipico del procedere del découpage classico) e preferisce raccontare con dei primissimi piani di profilo i momenti del dialogo in cui Fabienne cerca di resistere alle proposte di Silien, per poi ritornare ad una successione di primi piani (Silien in leggere contre-plongée a figurativizzare il suo dominio sulla donna innamorata di lui) semi- frontali, nel momento in cui Silien riesce ad estorcere alla donna l’appuntamento.
In realtà le inquadrature perfettamente frontali dei personaggi e degli ambienti sono molto rare: come i registi del noir americano, Melville sceglie dei piani fortemente angolati da sinistra o da destra, per figurativizzare un mondo ambiguo e corrotto che delle inquadrature perfettamente frontali non potrebbero rendere.  Pensiamo però al primo piano che introduce il personaggio di Silien: un primo piano frontale. Cosa permette allora allo spettatore di percepire l’ambiguità di questa figura sin dalla prima inquadratura? E’ sicuramente un altro elemento tecnico che Melville ha appreso dai registi del noir, e ancor prima dagli espressionisti: i forti contrasti di luce e ombra. Il viso di Silien è completamente in ombra. Noi vediamo soltanto la sagoma di un uomo con il cappello e un impermeabile, mentre, appena sopra la sua testa, la parete dietro di lui è attraversata da una linea obliqua.
Lo stesso Maurice, nella seconda sequenza del film, è presentato come un’ombra che si aggira per la periferia, e quando lo vediamo entrare in casa di Gilbert il suo viso continua ad essere attraversato e frammentato da ombre.
  Le frequenti plongée e contre-plongée (a volte giustificate dal regista dal punto di vista di un altro personaggio presente in scena) deformano i corpi dei protagonisti e permettono a Melville di giocare con le ombre, che queste angolazioni di ripresa e le scelte di illuminazione stagliano sui muri, di creare la sensazione di un pericolo imminente sul personaggio (plongée), oppure di creare ambiguità su una situazione apparentemente chiara (contre-plongée).  Dall’inquadratura n. 31 della prima sequenza di Le Doulos, l’ombra di Maurice s’ingigantisce sul tetto spiovente (e opprimente) della mansarda, lasciandoci intuire che qualcosa sta per accadere. Percepiamo l’ambiguità del suo personaggio da una serie di dettagli su cui Melville non tralascia di attirare la nostra attenzione e che ci permettono di prevedere ciò che di lì a poco Maurice farà: sparare al suo amico Gilbert. E’ interessante come il cambiamento del suo atteggiamento sia segnalato da un semplice gesto, apparentemente insignificante: sulle parole di Gilbert “…tu essaiera de revenir avec une autre tête…” Maurice sistema il suo cappello abbassandolo sugli occhi ed assumendo un’espressione dura e distaccata.
Dall’inquadratura n. 41 in poi il suo corpo in piano americano sarà completamente in ombra, fatta eccezione delle sue mani, strumento  attraverso il quale l’uomo compirà un gesto che lo condannerà.
Alla fine del film, il lungo flash-back, con il quale Silien racconta a Maurice tutto ciò che è accaduto, è una tecnica che Melville mutua direttamente dal noir, ma che trasforma in un processo di menzogna visiva in cui si legge il suo atteggiamento ironico nei confronti dei princìpi costruttivi del film.
Ancora importanti nel rapporto con il noir sono la serie di inquadrature che intrappolano i personaggi e che presagiscono il loro destino: sono frequenti  i casi in cui il regista mostra i personaggi riflessi negli specchi, attraverso porte o finestre, attraverso le ringhiere delle scale o di ponti ferroviari. Gli esempi da citare sarebbero tanti. In  Le Doulos ad esempio: durante la prima sequenza del film, mentre Maurice attraversa la periferia desolata, con un movimento di panoramica verso l’alto il regista fa entrare in campo le grate . Più in là (un campo medio sulla fine della scale della mansarda di Gilbert, inquadrate dall’alto) vediamo la testa di Maurice entrare in campo dietro la ringhiera delle scale. Nella sequenza dell’arresto di Maurice,  Melville  ce lo mostra come se questi fosse un condannato a morte condotto al patibolo. La macchina da presa posizionata al di qua di una vetrata  il cui telaio riproduce una croce, segue  Maurice e uno dei due poliziotti salire le scale. La croce lascia nella mente dello spettatore il dubbio che Maurice, anche se assassino e ladro, non sia da condannare, in quanto  vittima di un fato trascendente e incontrollabile che si è abbattuto su di lui.
Infine nell’ultima sequenza del film, durante la corsa disperata di Maurice lungo il viale che porta alla casa di Ponthierry, Kern, il sicario pagato per uccidere Silien, osserva dalla porta finestra l’arrivo di un uomo il cui abbigliamento potrebbe far pensare a Silien.  La macchina da presa con uno zoom in avanti sull’esterno ci mostra la silhouette di un Maurice che corre affannosamente, intrappolata in uno dei quadrati del vetro della finestra all’inglese.
Passando a  Le Samouraï, alcune scelte stilistiche di un regista, ormai alla maturità stilistica, continuano ad essere riconducibili al noir americano: siamo nuovamente durante la sequenza dell’incontro sul ponte fra Jef e colui incaricato di consegnargli il compenso per il lavoro svolto. I due si scambiano poche battute raccontate con una serie di campi/controcampi dei loro visi in primo piano:

Jef: “ C’est fait”
Uomo: “ Je sais. Et dit moi. Vous avez été arreté cette nuit.”
Jef: “ Aucune importance”
Uomo: “ Parfait. Chose promise…”

A questo punto, dopo l’ultimo primo piano di Jef che tende la mano, pronto a  ricevere i soldi, il campo si allarga. Melville varia bruscamente il punto di vista e ci fa assistere alla scena  collocando la macchina da presa in posizione laterale e in campo lungo, dietro la ringhiera del ponte ferroviario e muovendola con un ampio movimento panoramico verso sinistra. Jef è così intrappolato in questo spazio dal quale uscirà, ma ferito, segnando l’inizio della sua sconfitta. Ora, il fatto che Melville scelga quel particolare punto di vista, può essere letto in luce di tutto ciò che è stato detto sul noir. Jef da questo momento in poi sarà un “lupo” ferito e in trappola, e tutto quello che succederà lo condurrà inesorabilmente alla scelta della morte.
E’ invece da valutare il motivo per cui Melville impedisce allo spettatore di avere una visione chiara  sull’evento, ostruita dalla ringhiera del ponte. Forse per una sorta di rispetto nei confronti del suo eroe. Un uomo che si crede infallibile, ma che non è stato in grado di prevedere il tranello ordito alle sue spalle. Ed è ancora più evidente quando, nella sequenza successiva, il regista riprende l’uomo mentre si  medica la ferita, attraverso il vetro che fa da muro fra la stanza da letto/soggiorno e la cucina.
Oppure nella sequenza in cui Jef torna nel locale dove ha commesso l’omicidio, per incontrare la pianista. Ci viene mostrato in F.I. che avanza verso la sala. La sua andatura nell’attraversare lo spazio che lo separa dalla sala del locale, ci fa pensare al corpo di un uomo già morto e intrappolato nelle cornici delle due porte. Abbiamo la stessa sensazione guardando l’ultima sequenza del film in cui Jef si reca al night club, apparentemente per rispettare il suo ultimo contratto, in realtà per suicidarsi. Il destino imminente ci viene preannunciato dal piano in cui Jef, in M.F. di profilo, entra in campo da sinistra e si blocca al centro dell’ingresso. I suoi movimenti irrigiditi, il suo sguardo e la sua immagine riflessa (e intrappolata) nel grande specchio sul fondo dell’inquadratura fanno pensare ad uomo ormai non più vivo.

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