8.1 "La bella confusione"
La statua di Gesù è trasportata sopra Roma da un elicottero. La gente osserva l'insolito trasporto con curiosità. Al seguito della statua, su un altro elicottero, c'è il giornalista Marcello (Mastroianni) e il fotografo Paparazzo (Walter Santesso).
In un night club Marcello, che lavora per un periodico scandalistico, si sta informando su cosa ha mangiato un famoso personaggio. Nel locale entra la ricchissima ereditiera Maddalena (Anouk Aimée) che ha un appuntamento con qualcuno che non arriva. Marcello si offre di accompagnarla. Sfuggiti ai fotografi, i due si fermano a Piazza del Popolo, dove incontrano una prostituta che sta tornando a casa e le offrono un passaggio. La donna abita in un condominio a Cessati Spiriti. Nel suo appartamento i due si appartano a fare l'amore. La mattina seguente Maddalena lascia una lauta mancia alla prostituta sotto l'occhio vigile del pappone.
Tornato a casa Marcello trova la sua compagna Emma (Yvonne Forneaux) che ha tentato il suicidio. La porta all'ospedale, dove viene salvata.
All'aeroporto di Ciampino, in mezzo ad una selva di fotografi, arriva la diva americana Sylvia (Anita Ekberg). Al suo seguito si forma una colonna interminabile di macchine e motorette. Durante la conferenza stampa di Sylvia, Marcello, che è l'addetto stampa del produttore italiano della diva, deve calmare per telefono la gelosia di Emma. Intanto arriva ubriaco il compagno di Sylvia, Robert (Lex Barker), che ironizza su tutti.
Durante la visita alla cupola di San Pietro, la diva si fa di corsa i 700 gradini. Dietro a lei resta solo Marcello che la raggiunge all'ultimo terrazzino in tempo per vedere il cappello di Sylvia volare via per il forte vento.
Al night club Caracalla Marcello balla con Sylvia mentre al tavolo ci sono il produttore con alcuni giornalisti e Robert. Nel night entra un amico della diva (Alan Dijon) che la saluta urlando e chiede al gruppo musicale di eseguire un cha-cha-cha. La canzone si trasforma poi in un rock and roll indiavolato cantato da Adriano Celentano.
Quando Sylvia torna al tavolo Robert la insulta pesantemente. Umiliata, Sylvia fugge via in lacrime inseguita da Marcello che la carica sulla sua macchina e la porta in giro per Roma. Marcello cerca inutilmente un appartamento dove portare l'attrice e capita casualmente vicino alla fontana di Trevi. Sylvia entra vestita nella fontana, Marcello non esita a seguirla, ma l'incantesimo dura poco: lo scroscio della fontana si ferma, è l'alba. Marcello riaccompagna Sylvia in albergo dove trova Robert infuriato. L'attore americano, esasperato, schiaffeggia la donna e piglia a pugni il giornalista per la gioia dei fotografi.
Mentre cura un servizio di moda, Marcello vede entrare in chiesa un amico che è quasi la sua guida spirituale: Steiner (Alain Cuny). Lo raggiunge e gli parla affettuosamente.
In una trattoria sulla spiaggia Marcello incontra Paolina (Valeria Ciangottini), una ragazzina simpatica che fa la cameriera e che il giornalista paragona ad un angioletto delle chiese umbre.
Marcello e Paparazzo con Emma si recano nel luogo dove due bambini affermano di aver visto la Madonna. Intorno alla casa dei due bimbi c'è una folla immensa che attende speranzosa, ma non mancano giornalisti, fotografi, poliziotti e curiosi. I bambini sono però dei mistificatori e la famiglia cerca di approfittare della situazione. Dopo una nottata farsesca con eccessi di fanatismo religioso, il tutto bagnato da un violentissimo temporale, tutti se ne vanno. Sul prato resta un morto.
Marcello ed Emma sono a casa di Steiner. Vi sono riuniti poeti, scrittori, pittori. Marcello e Steiner si scambiano delle confidenze. Marcello ammette di non pensare più di diventare scrittore, Steiner oscuramente lo mette al corrente di un suo disagio interiore.
Una sera Marcello trova in via Veneto suo padre (Annibale Ninchi) che è venuto un paio di giorni nella capitale per lavoro. L'anziano genitore desidera passare una serata diversa da quelle noiose trascorse a Cesena e chiede di essere portato in un night di cui ha sentito parlare: il Kit Kat Club. Lì Marcello gli presenta una entreneuse Fanny (Magalì Noel). L'anziano signore comincia a corteggiare la ballerina che lo invita a casa sua. Marcello che lo segue a breve distanza con altre due ballerine e Paparazzo vuole andarsene, ma accompagna le ragazze all'appartamento che dividono con Fanny. Sotto casa, la ballerina esce spaventata, il padre di Marcello sta male. Il vecchio è seduto su una sedia, non è niente di grave, ma l'incidente lo ha umiliato e così decide su due piedi di tornare a casa con il treno nonostante che il figlio lo supplichi di restare per potergli parlare.
Da via Veneto partono le macchine per una festa a palazzo Mascalchi di Sutri. Marcello, invitato da una sua amica svedese, si aggiunge al gruppo. Alla festa, simbolo evidente della decadenza della nobiltà, trova Maddalena che si serve di una camera degli echi per fargli una singolare dichiarazione d'amore. Marcello la ricambia ma lei è già nelle braccia di un altro. Anche Marcello finisce con una donna appena conosciuta. La mattina seguente la comitiva, reduce dal baccanale, incrociano la principessa madre che si reca a messa. Il principe Mascalchi e i figli la seguono a capo chino.
Lite furibonda tra Marcello ed Emma in un viale dell'EUR.
In casa Steiner è accaduta una tragedia: l'amico ha ucciso i figli e si è sparato. Marcello, incapace di comprendere, aiuta la polizia ad avvisare la moglie che, ignara di tutto, apprende la notizia davanti alla solita crudele ressa dei fotoreporters.
In una villa di Fregene si festeggia l'annullamento del matrimonio di Nadia (Gray). Alla festa c'è di tutto: cantanti, attori, ruffiani, travestiti, ballerini e Marcello. Per accendere l'ambiente Nadia improvvisa uno spogliarello, sul più bello arriva il suo ex marito. L'atmosfera degenera, Marcello insulta tutti e poi umilia una ragazza ubriaca. Il padrone di casa deve però dormire e caccia fuori tutti.
All'alba i reduci dall'orgia sono sulla spiaggia e assistono alla pesca di un pesce-mostro. Marcello nota che una ragazzina lo chiama dall'altra parte del canale. E' Paolina che lo ha riconosciuto e vorrebbe parlargli. Il rumore copre, però, le sue parole. Marcello non capisce e, buffoneggiando, se ne va con gli amici. Paolina, assolutoria, gli sorride.
8.2 "L'evento del secolo"
8.2.1 Il mito di Via Veneto
Via Veneto si afferma come cuore mondano e intellettuale di Roma durante il periodo fascista. Negli anni cinquanta l'intellighenzia romana se ne impossessa e vi siede in permanenza. Al caffè Rosati si incontrano De Feo, Talarico, Flaiano, Panunzio e altri. Nel bar si possono ascoltare con largo anticipo le polemiche sugli avvenimenti culturali che solo dopo qualche giorno verranno a conoscenza dell'Italia sulle colonne de Il Mondo e de L'Espresso. Sull'altro marciapiede da Strega o da Doney vivacchia la gente del cinema. Durante le nottate infinite si discute delle anteprime e dei progetti futuri, delle critiche e dei pettegolezzi.
L'esplosione della vita notturna coincide con l'agonia e la morte di Papa Pacelli, avvenuta il 9 ottobre 1958, che non amava questo tipo di manifestazioni e che, si dice, le avesse sempre osteggiate. Coincide anche con il boom dei giornali scandalistici che mitizzano via Veneto e la rendono così famosa da attrarre curiosi e esibizionisti.
Lo spettacolo di quelle sere si insinua nella mente di Fellini e conquista facilmente i suoi collaboratori alla sceneggiatura: Flaiano, che frequenta da tempo immemorabile la via, e Pinelli.
L'idea si innesta su di un precedente copione mai realizzato Moraldo in città che parlava dell'iniziazione alla vita corrotta della capitale di un provinciale; una specie di diario dei primi anni a Roma di Fellini. L'atmosfera di via Veneto determina un cambiamento in Fellini che sull'idea base sovrappone l'intenzione di "dare un ritratto di questa società dei caffè che folleggia tra l'erotismo, l'alienazione, la noia e l'improvviso benessere. [..] Il film avrà per titolo La dolce vita e non ne abbiamo scritto ancora una riga."1 Questa affermazione di Flaiano, scritta nel giugno del 1958 smentisce le voci che attribuiscono a Fellini indecisione sulla scelta del titolo che fin dal primo momento è definitivo.
Via Veneto rappresenta, d'altro canto, per Flaiano un pezzo importante della sua vita e l'amarezza del film è anche la sua quando commenta il cambiamento avvenuto negli ultimi anni così: "Com'è cambiata dal '50, da quando vi arrivavo a piedi ogni mattina, attraverso Villa Borghese e mi fermavo alla libreria di Rossetti, con Napolitano, Bartoli, Saffi, Brancati, Maccari e il poeta Cardarelli. [..] c'era una gaia animazione paesana, giornalisti e scrittori prendevano l'aperitivo. [..] Come può cambiare una strada! Ora che sta arrivando l'estate salta agli occhi che questa non è più una strada, ma una spiaggia. [..] Anche le conversazioni sono balneari, barocche e scherzose, e si riferiscono a una realtà esclusivamente gastro-sessuale."2
Sentimenti non dissimili dovevano appartenere a Fellini anche se, dai tempi del matrimonio, non era più stato un vero protagonista della mondanità romana.
Dopo il consueto walzer dei produttori, il film è tra le mani di Peppino Amato che cerca, inutilmente, di trovare una parte per la propria amante, la famosa attrice statunitense Linda Darnell, nel film. Le finanze di Amato non bastano a coprire le spese che continuano a lievitare. A questo punto entra in gioco Angelo Rizzoli che inizia un simpatico rapporto con il regista romagnolo.
La composizione del cast è altrettanto lunga e faticosa. Dopo aver scelto come protagonista Marcello Mastroianni, preferito anche a Paul Newman, Fellini si sbizzarrisce nella ricerca dei volti giusti. Vorrebbe Elio Vittorini nella parte di Steiner, ma non riesce a convincerlo. Trova invece un perfetto alter ego di suo padre: l'attore Annibale Ninchi che ricoprirà lo stesso ruolo in Otto e mezzo. Nel cast entra anche il nuovo fenomeno del rock and roll italiano: Adriano Celentano. Il rock and roll è arrivato nell'Italia solo nel 1956 e la notorietà di Elvis Presley, rimbalzata ormai in tutto il mondo, e quindi anche nella nostra penisola, ha lanciato definitivamente questo genere musicale. Sulla falsariga di questo successo anche in Italia si impongono i cosiddetti urlatori come Tony Dallara e il già citato Celentano.
Intanto a Milano l'amico Rinaldo Geleng gli ha trovato una ragazza che è perfetta per interpretare il ruolo di Maddalena. La ragazza è la milanese Adriana Botti, ricchissima ereditiera che viveva esattamente come il personaggio cinematografico che doveva proporre sul grande schermo e cioè "praticando il libero amore e sdrogacchiandosi."3 Tutto salta al momento della stesura del contratto per via delle richieste onerose della giovane (50 milioni) dovute alla minaccia del padre di diseredarla qualora si fosse messa a recitare e per via della provocatoria controproposta di Fellini che è stata di sole 75.000 lire e che ha provocato l'interruzione delle trattative.
L'ultima importante scelta è stata quella di Anita Ekberg, la bellissima attrice svedese che rappresentava agli occhi del regista il simbolo della donna.4 L'attrice era da tempo protagonista delle cronache rosa italiane e alcuni degli episodi mostrati nel film sono tratti da avvenimenti che le sono realmente accaduti.
Le riprese del film, che si annuncia subito come un evento straordinario, diventano immediatamente meta continua di visitatori, di curiosi, fino ad entrare nella vita mondana della città. L'atmosfera festaiola raggiunge il suo culmine durante le riprese del bagno della Ekberg nella fontana di Trevi. L'episodio entra talmente nella storia del costume della capitale che Ettore Scola ne inserirà una ricostruzione nel suo film C'eravamo tanto amati (1974). Fellini ricorda che per girare quella scena furono necessarie otto o nove notti e che i proprietari delle case che davano sulla piazza avevano affittato ai curiosi balconi, finestre e terrazzi. Alla fine di ogni ciak la gente poi manifestava la sua approvazione urlando.5 Tutta la città vuole ammirare con i propri occhi la prorompente bellezza di Anita Ekberg. L'entusiasmo per l'attrice svedese è così alto che, durante un esterno a Tor di Schiavi, scoppiano tumulti quando la folla di curiosi accorsa scopre che lei non prende parte alle riprese che si stanno girando.
8.2.2 Più che un successo
Dopo aver visionato l'immenso materiale girato Fellini appronta una copia campione che viene vista solo dai due produttori: Rizzoli e Amato. I due sconvolti, racconta Fellini, sembra che abbiano telefonato al presidente della Titanus, Goffredo Lombardo, nel corso della notte per cercare di svendere il film.6
Si giunge così alla tanto attesa anteprima romana presso il cinema Fiamma. Alla conclusione solo venti secondi di applausi e qualche isolato fischio.7 L'interesse reale è solo per Anita Ekberg, presente in sala. Tutti gli occhi sono puntati su Milano, piazza difficile dove la serata di presentazione è fissata per il 5 febbraio 1960 al cinema Capitol. Sul film, intanto, pende fin da principio la spada di damocle della censura, particolarmente attiva in quell'anno come dimostrano i brutali tagli apportati ad un'altra pellicola fondamentale del decennio Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti. Tutto è, però, filato liscio in quanto ancora una volta l'intervento di padre Arpa ha consentito di superare i veti. La pellicola era stata già mostrata al cardinale Siri che aveva concesso il suo benestare. Tuttavia solo quando il gesuita ha scritto una lettera autografa al Presidente Gronchi in cui si diceva che Siri aveva approvato il film, la censura ha dato il suo permesso classificando l'opera sotto la dicitura "adulti con riserva".8
La prima milanese è, invece, un disastro. Il pubblico, probabilmente prevenuto dalla campagna scandalistica montata precedentemente, comincia ad agitarsi e a rumoreggiare. Alla fine solo qualche applauso convinto e molte grida di protesta. Qualcuno apostrofa Mastroianni come comunista, una persona sputa addosso a Fellini.
La stampa segue passo passo le vicende del film. Il 5 febbraio, giorno dell'anteprima e vigilia dell'uscita dell'opera nelle sale, molti quotidiani commentano La dolce vita grazie alla visione riservata per i critici avvenuta il giorno prima. I commenti sono tiepidi ma sufficientemente positivi. Piero Santi, dalle colonne del Giornale del mattino di Firenze, afferma che "non è un gran film, ma un film buono".9 Tommaso Chiaretti è convinto che il crepuscolarismo è la vera strada poetica di Fellini che "altrove aveva imboccato male, dalla parte del misticismo, cioè, dalla parte cieca." Ma anche al critico del Paese appare evidente che ci si trova di fronte ad "una delle opere più nuove e, in un certo senso, rivoluzionarie del cinema mondiale degli ultimi anni".10 L'eccezionalità dell'avvenimento è colto da tutti i cronisti. Su La Nazione del 6 febbraio si dice, riferendosi al neologismo derivato da I vitelloni, che "l'espressione La dolce vita ha avuto un'accoglienza ancora più immediata: la si usa oralmente e per iscritto già da mesi, e il film di Fellini non è uscito che ieri."11 Il giornalista lo definisce il capolavoro del regista, "una delle tre o quattro opere più forti del cinema italiano."
La dolce vita sconvolge tutti, suscita amore, odio, risentimento, preoccupazione; rende obsoleto ogni precedente concetto del cinema, spazza via il neorealismo al punto che Rossellini, che lo considerava una sua creatura, rompe ogni rapporto con Fellini che era il suo allievo prediletto, oltre che grande amico.12
Comunque l'anteprima milanese ha confermato le pessimistiche previsioni per l'esito commerciale del film che, non dimentichiamoci, era al tempo il più costoso mai prodotto in Italia. Il 6 febbraio, dunque, Fellini si reca a pranzo senza farsi eccessive illusioni per gli incassi della giornata. Quando fa ritorno al cinema Capitol si trova, invece, davanti ad uno spettacolo imprevedibile. La folla ha sfondato le porte del cinema, tutti vogliono vedere il film prima che venga sequestrato e quelli che non riescono ad entrare protestano calorosamente. E' l'inizio di un trionfo che porterà La dolce vita ad essere il campione d'incassi del 1960 con oltre 2 miliardi di ricavato, una cifra che, rivalutata al 1993, supera i 113 miliardi di lire.
8.2.3 "La schifosa vita"
Le reazioni dei perbenisti non si fanno attendere. La prima interrogazione parlamentare è del 9 febbraio da parte di un deputato missino che stigmatizza "l'offesa palese alle virtù e alla probità della popolazione romana e la banale canzonatura dell'alta missione di Roma quale centro del cattolicesimo e di antiche civiltà."13 A questa interrogazione ne fanno seguito altre di esponenti della democrazia cristiana. Lo stesso giorno ha inizio la campagna di stampa denigratoria de L'Osservatore Romano, quotidiano della santa sede, che in un corsivo senza firma (opera forse del suo direttore il conte Della Torre) intitolato "Basta!" afferma che: "il male, il delitto, il vizio ostentato sugli schermi, sviscerato nella sua psicologia [..] è incentivo al male, al delitto, al vizio; ne è propaganda".14 L'articolo prosegue con un violento attacco alla critica che ha lodato il film e conclude con un appello, richiamandosi ai Basta! pronunciati nella serata dell'anteprima, che richiamano al loro dovere i pubblici poteri "cui compete e la sanità del costume, e il rispetto al buon nome di un popolo civile".
La reazione del quotidiano vaticano è l'espressione dell'intervento della parte più retriva del mondo ecclesiastico che si esprime in varie circostanze. Dopo l'intervento di padre Arpa presso il cardinale Siri, di cui abbiamo già detto, sembrava che tutto fosse chiarito. Il film dalla categoria "vietato per tutti" era passato in quella "adulti con riserva"; inoltre era stato proiettato presso il centro S. Fedele, centro culturale gesuita, dove era stato accolto con grande interesse; Arpa era, infine, riuscito a fissare un incontro tra Fellini e il cardinale Montini, il futuro Paolo VI. Il 9 febbraio esce, improvvisamente, l'articolo che abbiamo già citato: è il segnale che la cosiddetta "nobiltà nera" del Vaticano, la componente più reazionaria del mondo ecclesiastico, ha ripreso il controllo della situazione in modo deciso. Immediatamente la stampa cattolica si adegua al clima retrivo facendo una clamorosa marcia indietro rispetto alle opinioni già espresse. Il giorno stesso, infatti, Il Quotidiano organo dell'Azione Cattolica, che pure aveva pubblicato una recensione favorevole della Dolce vita, si allinea alle posizioni romane. Il CCC reagisce riportando il film nella categoria delle pellicole "escluse per tutti".15 L'intervento diretto della Segreteria di Stato Vaticana ha, dunque, probabilmente costretto Siri, da cui dipendevano sia il CCC che l'Azione Cattolica, a togliere la sua approvazione all'opera di Fellini. Anche Montini obbedisce all'aut-aut annullando l'incontro previsto con il regista romagnolo. Il film viene anche attaccato dalla Giunta Araldico-Genealogica del Corpo della Nobiltà Italiana, che deplora il conte Odescalchi per aver affittato il Castello di Bassano di Sutri. Vengono anche deplorati i nobili che figurano nel film come comparse proprio nell'episodio della festa nel palazzo Odescalchi. Alcuni di loro rispondono su un settimanale dicendo, a mo' di scusa, di essere stati imbrogliati dal regista che aveva spiegato loro la scena e i dialoghi in modo diverso da come sono stati poi mostrati sullo schermo.16 Fellini risponde il giorno dopo in una conferenza stampa a Firenze affermando di non aver ingannato nessuno e che tutti erano a conoscenza della parte e di non aver "dato loro a credere nulla di diverso".17
Le polemiche non sono ancora finite. Un lettore del foglio vaticano invita le autorità competenti a incriminare Anita Ekberg per uso abusivo dell'abito talare a causa di un costume che ricorda molto la tonaca dei sacerdoti.
Il successo ormai inarrestabile della pellicola spinge gli ambienti ecclesiastici a rincarare la dose contro Fellini e chi, all'interno della Chiesa, osa appoggiarlo. Se, infatti, le proteste di alcuni parlamentari non ottengono risultati in quanto il governo, per bocca del sottosegretario Magrì, non intende prendere alcun provvedimento contro il film; durissima è invece la repressione nel mondo religioso. L'Osservatore Romano affida gli attacchi alla pellicola a otto articoli che ribattezzano La dolce vita in Schifosa vita. In uno di questi, pubblicato il 10 marzo, Cinecittà diventa la città dantesca di Dite e si spiega come la vera arte "è chiara, schietta, non induce in equivoco .. vale per tutti [..] è l'arte su cui non s'affatica, non si contorce la distinzione tra l'artista che indulge al male, sino a compiacersene si da incitare altrui al delitto, e l'artista che invece vi insinua tutto il proprio sdegno per sdegnare gli altri."18 Concordemente il resto della stampa cattolica ammonisce a considerare il giudizio del Centro Cattolico Cinematografico, che aveva classificato La dolce vita "escluso per tutti", come un giudizio normativo sulla coscienza dei fedeli.19
Questi articoli aggrediscono in modo particolare due gesuiti: padre Angelo Arpa e padre Nazareno Taddei. A padre Arpa, vittima degli strali dell'Osservatore Romano, viene imposto un anno di silenzio per l'appoggio dato alla pellicola.
Anche la vicenda di padre Taddei è significativa. Taddei è uno dei responsabili del Centro San Fedele e del periodico, ad esso collegato, Letture che pubblica nel mese di marzo una sua valutazione de La dolce vita. La firma di Taddei non è certo una novità per il cinema italiano che lo ha potuto apprezzare per gli importanti contributi critici apparsi su molte riviste specializzate tra cui Bianco e nero. Taddei riceve l'incarico dai suoi superiori di fare una lettura ponderata del film di Fellini. Dopo una serie di colloqui con il regista, Taddei scrive la sua critica che pone al vaglio di altri sette gesuiti che approvano il testo dopo l'attenta analisi di ogni singolo periodo.
L'articolo esce nel mese di marzo ed esprime una valutazione complessivamente positiva del film anche se "è da destinare a visioni limitate o almeno a persone opportunamente preparate".20 Come si vede il giudizio si allinea alla posizione espressa inizialmente dal CCC stesso che lo aveva momentaneamente catalogato come "solo per adulti". Nonostante sia evidente la condanna per il comportamento dei protagonisti, espressa da Taddei e dal regista, le reazioni a questo pezzo sono furibonde. Su Scena Illustrata ci si stupisce che padre Taddei non capisca che il film raggiunge finalità comuniste, "nel senso che fa il giuoco della propaganda comunista in un paese non comunista".21 Secondo il giornalista La dolce vita e la stampa che difende la pellicola costituiscono "un ulteriore e efficace contributo a far dilagare il male" in quanto, prosegue, è facile intuire che le masse sono attratte da "dannosi e morbosi compiacimenti". L'Osservatore Romano rincara la dose affermando che: "Si dice che l'autore di codesta fatica sia un religioso. Ma se ne dicono tante! Quante, come si vede, ne dicono i religiosi."22
Gli attacchi continuano attraverso le massime autorità ecclesiastiche. Al Centro S. Fedele giunge, infatti, anche una lettera del cardinal Montini in cui si dice: "sono costretto a deplorare l'esaltazione che il rev. Taddei fa del film La dolce vita. La sua apologia rompe l'argine del nostro popolo alla dilagante immoralità delle scene".23 Alla dura reprimenda fanno seguito una chiarificazione che Letture pubblica nel luglio dello stesso anno e una serie di provvedimenti punitivi nei confronti di padre Bressan, direttore del periodico, che viene trasferito e di padre Taddei che viene spedito all'estero per essere, una volta rientrato in patria, delegato ad incarichi di diversa natura.
Nel frattempo il film è giunto al XIII Festival di Cannes dove è iscritto in concorso. La giuria, presieduta da Georges Simenon, lo premia con il massimo riconoscimento: la Palma d'oro. Non giunge, invece, l'Oscar per il miglior film straniero che va ad appannaggio di un'opera di Bergman. L'ambita statuetta viene vinta, però, da Piero Gherardi per la migliore scenografia. La cosa non colpisce più di tanto Fellini che, d'altro canto, sta riscuotendo successo in tutto il pianeta facendo divenire la fontana di Trevi e via Veneto tappa irrinunciabile dei turisti di tutto il mondo. L'impatto del film è talmente forte che riesce a modificare il linguaggio facendo entrare nei vocabolari di tutto il mondo neologismi come dolcevita e paparazzo.
Oltre alla disapprovazione di Rossellini, l'ultima fatica felliniana scontenta molta parte della cinematografia italiana scesa in campo a fianco dell'autore riminese più per reazione verso la capziosa campagna moralizzatrice che per reale solidarietà verso Fellini. Altri due maestri del cinema italiano lasciano trapelare la loro insofferenza con alcuni frasi significative. De Sica considera Fellini un regista geniale ma ritiene che non sia mai riuscito a liberarsi "da un modo di vedere le cose un tantino cafone."24 Di Visconti si riporta, nel corso dello stesso articolo, una sua dichiarazione in cui afferma che i nobili di Fellini erano i nobili visti dalla sua donna di servizio. Pinelli ricorda anche furiose discussioni con il regista Pietro Germi che disapprovava La dolce vita.25 Ancora nel dicembre del sessanta, d'altro canto, Flaiano scrive che spesso incontrava qualcuno che gli rimproverava di aver collaborato a mostrare Roma come una sentina di vizi.26
E' evidente, insomma, che Fellini ha toccato un nervo scoperto della Roma di quegli anni che stava vivendo un periodo di splendore che "mascherava una certa putrefazione o perlomeno un'inquietudine."27 La vita di quella parte del mondo capitolino è stata comunque resa in modo edulcorato rispetto alla realtà di quei giorni.28 L'aristocrazia rappresentata era un ritratto quasi nostalgico della nobiltà romana che è, secondo Zapponi, tra le più grette, meschine, papaline e reazionarie. Non sorprende quindi l'alzata di scudi dopo l'uscita del film.
8.2.4 Dopo Anzio... Cinecittà
Molti episodi proposti nella Dolce vita sono tratti da avvenimenti realmente accaduti. Il via vai di attori, artisti e personaggi del jet-set internazionale in via Veneto era foriero di aneddoti facilmente traducibili sul grande schermo. Sono infatti gli anni della famosa "Hollywood sul Tevere".29
L'inizio di questa pacifica e fruttuosa invasione si può datare con la produzione di Quo Vadis (1952) di Mervyn Le Roy. L'afflusso continuo dei capitali statunitensi portano le più grandi stelle del firmamento cinematografico a Roma. Le avventure sentimentali di personaggi come Ursula Andress, Jayne Mansfield, Ava Gardner, del playboy sudamericano Baby Pignatari riempiono le colonne dei giornali scandalistici. Il punto più alto e, allo stesso tempo, l'inizio del declino dell'attività dei paparazzi vengono raggiunti con la tempestosa relazione tra Richard Burton e Elizabeth Taylor durante le riprese del kolossal Cleopatra.30 Lo sfruttamento esacerbato del legame amoroso dei due attori causa una caduta di interesse nel pubblico che coincide con il ritorno dei finanziamenti americani in patria dopo che Hollywood è riuscita a superare la grave crisi produttiva che l'aveva colpita.
Oltre alle baruffe tra divi, gli altri argomenti prediletti dalle riviste scandalistiche, come mostra lo stesso film, sono la cronaca nera e gli episodi di fanatismo religioso. Fellini, con i suoi cosceneggiatori Flaiano e Pinelli, ha inseguito e spiato la vita, il comportamento di questi fotoreporter che da questo film in poi assumeranno il nome di uno dei personaggi: Paparazzo. L'origine del neologismo è, come al solito, difficile da definire. Il cognome è realmente esistente ed è probabilmente la corruzione del termine papataceo che sta ad indicare una fastidiosa zanzara. Flaiano afferma, invece, di avere trovato il nome, per caso, in un libro di George Gissing che si intitola Sulle rive dello Jonio e che tale nome appartiene ad un albergatore delle Calabrie di cui lo scrittore parla con riconoscenza e ammirazione.31
8.2.5 Cronaca nera
Questa spasmodica attenzione verso il morboso e la cronaca nera è probabilmente causato dalla censura esercitata durante tutto il periodo fascista su episodi di questo genere. Calato questo velo di silenzio i giornalisti si sono gettati a corpo morto su questi tragici fatti. Il primo importante fatto di cronaca del dopoguerra avviene nel novembre 1946 quando una giovane commessa trucida a Milano la moglie e i tre figli dell'amante.32 Ma i casi di delitti efferati sono, purtroppo, una tragica ineluttabilità del quotidiano.
A volte la cronaca si interseca alla politica. E' il caso della morte di Wilma Montesi, il suo cadavere viene rinvenuto sul lido di Ostia l'11 aprile 1953. Dopo una prima inchiesta che attribuisce la morte della giovane ad un banale malessere, appaiono sulla stampa le prime rivelazioni. Emerge così che la Montesi è deceduta durante un'orgia a cui aveva partecipato anche uno dei figli di Attilio Piccioni, uno dei maggiori esponenti della DC. Il processo che ne è seguito ha amplificato l'attenzione dell'opinione pubblica in un crescendo di colpi di scena che portano il capo della polizia a dimettersi e compromettono definitivamente Piccioni stesso. La campagna-stampa moralizzatrice scatenata dalla sinistra viene bloccata da Mario Scelba che, sguinzagliando la polizia, riesce a trovare le prove che uno dei più implacabili accusatori comunisti amava assistere alle esibizioni erotiche della anziana moglie con dei giovani.33 Questa serie di squallide vicende evidenziano come anche lo scandalo era ormai divenuto arma di ricatto politico e come la commistione tra pubblico e privato si era definitivamente consumata.
L'episodio dell'omicidio-suicidio di Steiner, che Rizzoli cerca disperatamente di convincere Fellini ad eliminare, è dunque una brutale realtà, una anticipazione, anzi, di quello che accade in una società che ha raggiunto il benessere: ciò che Pinelli definisce la disperazione della felicità.34
Efficace la ricostruzione di un certo tipo di giornalismo, di cui il protagonista del film Marcello è rappresentante, che vive di insinuazioni e pettegolezzi e per cui tutto è disumanamente "fotografabile".
Il cosiddetto "bel mondo" faceva di tutto, d'altro canto, per facilitare questo lavoro con una serie di scandali, molti dei quali sono stati inseriti nella sceneggiatura del film. Tre episodi sono esplicitamente citati. Il primo risale all'estate del 1957 quando Pierluigi Praturlon, uno dei fotoreporter che servirono da modello per il personaggio di Paparazzo, immortala Anita Ekberg che fa il bagno in Fontana di Trevi in un servizio fotografico che fa il giro del pianeta. La Ekberg è protagonista delle cronache rosa anche per le violente scenate di alcool e gelosia con suo marito Anthony Steel. Un altro fotografo, Tazio Secchiaroli, riesce ad essere picchiato due volte nel corso della stessa giornata, il 18 agosto 1958, prima da Farouk, re d'Egitto, e poi da Anthony Franciosa, a quel tempo fidanzato di Ava Gardner. Lo stesso Secchiaroli è protagonista di numerose zuffe con Walter Chiari, anche lui legato sentimentalmente alla Gardner.35 Altro fondamentale episodio ispirato alla realtà è quello dello spogliarello finale che richiama lo strip-tease che nel novembre del '58 una ballerina turca di nome Aiché Nanà ha improvvisato in un famoso ristorante romano Il Rugantino.
Questa serie di scandali, riportati con dovizia di particolari dalla stampa, diventano addirittura argomento di discussione al Parlamento. Nell'estate del 1958 l'On. democristiano Giuseppe Brusasca chiede che sia vietata la diffusione di notizie riguardanti i divi e le loro storie d'amore in quanto bisogna far fronte "alle gravi conseguenze delle morbose curiosità, delle egoiste insofferenze, della svalutazione dei doveri coniugali e soprattutto del tradimento degli obblighi verso i figli che stanno diffondendosi tra il nostro popolo".36
8.2.6 Dopo Via Veneto
L'ultima fatica felliniana ingloba in sé miracolosamente gran parte dell'Italia del sessanta fino ad essere la descrizione, quasi psicanalitica, dei fasti e di alcuni rituali tipici della società romana e, di riflesso, dei sogni e delle illusioni dell'intera nazione.
Eppure il nucleo di questo film è già oltre. Fellini, conscio della trasformazione del senso morale in atto, intravede i pericoli e le storture di questo sviluppo e li indica senza indugi, con sincerità.
Via Veneto, raggiunto il suo culmine, comincia a sfiorire. La Hollywood sul Tevere tramonta, i divi si ritrovano in altri luoghi e i night club lentamente spariscono sostituiti, nel corso degli anni, dalle discoteche.
"Via Veneto è sempre più irriconoscibile , travolta ormai dalla sua stessa fama, lasciata ai turisti, ai facili incontri e al cinematografo. Gli intellettuali hanno seguito i pittori a piazza del Popolo, topograficamente difesa dagli assalti della moda.....".37
8.3 Un ambiguo miracolo
8.3.1 Segnali contraddittori
Boom economico. Le parole magiche che vengono sempre ripetute riferendosi ai "mitici" anni sessanta divenuti, nella memoria collettiva, l'Eldorado della nazione. Si scopre, invece, che in termini meramente quantitativi - aumento del PIL, del reddito nazionale netto, del valore aggiunto industriale - questo termine, boom, è assolutamente fuori luogo. In realtà la sensazione del benessere è causata da una serie di fenomeni che, sviluppatisi in precedenza, raggiungono il loro culmine tra il '58 e il '63. In questo periodo si registra, infatti, il raggiungimento della piena occupazione (3% nel 1962), la progressione costante dei salari e la notevole impennata dei consumi privati. Tuttavia il pieno impiego è tale solo sui diagrammi statistici38 e lo sviluppo economico non solo non è stato supportato da una offerta aggiuntiva di servizi (casa, scuole, ospedali), ma ha anche avuto profonde ripercussioni sul piano sociale determinando quello spaesamento, causato anche dalla fortissima immigrazione, così bene individuato da Fellini.
Inoltre, l'incremento dei consumi risponde a bisogni ed esigenze materiali e non ad una crescita dell'utilizzo di beni superflui. Nel 1962, infatti, la spesa per commestibili e vivande è ancora pari al 47,5% delle uscite complessive della famiglia italiana e, se vi si aggiunge il tabacco, la percentuale sale al 51,4%.39 Le abitudini alimentari subiscono, invece, profonde modifiche. I cereali secondari (orzo, segala, mais, avena) vengono sostituiti dal pane bianco e dalla pasta di grano duro; i legumi perdono il requisito di piatto-base per divenire semplici contorni. E' la carne a divenire l'alimento quotidiano degli italiani.
Insomma, come disse Vittorio Valletta (amministratore delegato della FIAT) nel 1961, le cose sarebbero andate bene fino a quando gli italiani non avessero raggiunto il benessere detenuto dagli altri popoli occidentali. Il miracolo era per lui, come ebbe occasione di dichiarare l'anno seguente, solo il raccorciamento di distanze rispetto alle posizioni più avanzate dell'Occidente Europeo.40
Rimanevano, infatti, seri problemi da risolvere come lo squilibrio esistente tra il nord e il sud aggravato dalla fortissima emigrazione verso le regioni più industrializzate. E' vero che tra il '56 e il '60 gli investimenti sono consistenti anche nel Mezzogiorno (poco più del 43% del totale), ma non toccano i problemi strutturali che sono alla radice delle difficoltà economiche del meridione.
I problemi sopra elencati non fermano l'inarrestabile avanzata economica della nazione. Tra il '58 e il '63 il tasso di crescita annuo del prodotto interno lordo è del 6,3 per cento, gli investimenti in macchinari e impianti industriali aumentano del 14% all'anno, la produzione industriale viene raddoppiata, con alla testa i settori metalmeccanico e petrolchimico dove IRI e ENI giocano un ruolo molto importante. Determinante per lo sviluppo economico italiano è anche l'effetto del Mercato Comune Europeo nato, dopo non poche difficoltà e defezioni, il 25 marzo 1957 a Roma con l'adesione di Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo ed entrato in vigore dal 1 gennaio 1958. Il trattato prevede l'abbassamento graduale delle tariffe doganali fino alla libera circolazione delle merci, della forza lavoro e dei capitali.41 L'esportazione verso i paesi della CEE, facilitata dal basso costo della manodopera che permette di entrare sul mercato con prezzi concorrenziali, passa dal 23% del 1953 al 29,8 del 1960, ad oltre il 40,2% nel 1965.
Il miracolo economico porta con sé, ovviamente, anche un inizio di consumismo, che sia pure limitato ad una parte non ancora elevata della popolazione, manifesta il desiderio di mostrare il benessere raggiunto con lo sfoggio di qualche status symbol. Veicolo del consumismo è la pubblicità che, sia pure in forma limitata, fa la sua apparizione anche sui teleschermi. Nasce, infatti, il 3 febbraio 1957, Carosello che diventa immediatamente un appuntamento fisso nelle case degli italiani per la sua ironica e quasi fiabesca carica. Contemporaneamente si impongono anche nuove mode e dei comportamenti standard che si rifanno al cinema dove i nuovi idoli giovanili si chiamano Marlon Brando e James Dean che fanno della ribellione il loro motivo di vita. I giovani si riaggregano in nuove forme di classe che si distinguono dai capi d'abbigliamento indossati come i blue jeans o il giaccone di cuoio.
8.3.2 Tra incertezze e speranze
Nel momento di massima forza economica è riscontrabile, invece, una situazione di estrema tensione a livello istituzionale. Mentre il mondo respira aria nuova con lo straordinario papato di Giovanni XXIII e l'avvento di John Kennedy alla presidenza degli Stati Uniti insieme alla politica più umana, anche se con molte cadute, di Krusciov, l'Italia non riesce a trovare un governo stabile. Papa Giovanni non svolge, come il suo predecessore, una politica sotterranea per impedire l'avvicinamento tra socialisti e democristiani anche se non la favorisce. Il percorso che porta al centro sinistra è però notevolmente tormentato.
Il tentativo di inizio legislatura (1958) di resuscitare il quadripartito fallisce miseramente. In attesa di trovare alleanze più stabili viene varato un debolissimo governo monocolore presieduto da Antonio Segni.
Restando l'indisponibilità da parte del PRI e del PSDI che promuovono l'accordo con il Partito Socialista, in parte della DC si fa largo l'idea di formare un esecutivo con le destre coinvolgendo il MSI e i Monarchici. Questa ipotesi viene rafforzata dalla caduta del governo guidato da Amintore Fanfani nel gennaio '59 che subito dopo si dimette anche dalla carica di segretario della DC. Era proprio Fanfani, infatti, ad insistere per l'apertura ai socialisti e la sua forzatura non piaceva ai maggiorenti del partito che temevano le reazioni degli imprenditori e della gerarchia ecclesiastica. Il congresso elegge nuovo segretario Aldo Moro che inizia una politica prudente che congela, momentaneamente, ogni possibile svolta clamorosa.
Si arriva così alla primavera del 1960 quando, all'ennesima crisi di governo, il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nomina Fernando Tambroni, suo protetto ed esponente di secondo piano della DC, Presidente del Consiglio. Tambroni si presenta alle camere con un monocolore ancora più debole dei precedenti. Le destre intuiscono la possibilità di rientrare in gioco e appoggiano il governo risultando determinanti per ottenere la fiducia alla Camera dei Deputati. Il voto delle destre costringe Tambroni a rassegnare le dimissioni, ma Gronchi, forse influenzato dai successi ottenuti nello stesso periodo da De Gaulle in Francia, decide di forzare la mano riproponendo lo stesso esecutivo con lievi modifiche. Tambroni riesce ad ottenere una sia pur risicata fiducia. Ancora una volta essenziale è l'apporto del MSI che, dopo pochi mesi, presenta il conto al Presidente del Consiglio chiedendo, e ottenendo, il permesso di tenere il proprio congresso a Genova, città medaglia d'oro della resistenza.
La decisione provoca una reazione delle forze antifasciste che scendono in piazza con "una determinazione e una violenza tale da sconfinare quasi in rivolta."42 Dal capoluogo ligure la contestazione si estende a tutta Italia. Gli scontri con la polizia si susseguono e provocano una decina di morti.
Nel frattempo in Parlamento si assiste ad un durissimo scontro che vede in prima fila i partiti della sinistra con una parte della DC che plaude silenziosamente. Tambroni, senza maggioranza alcuna, è costretto a dimettersi e lascia il posto al redivivo Fanfani che riesce a formare un governo centrista con una variante significativa: l'astensione del PSI. Di fatto l'accordo pone le fondamenta per un esecutivo di centro - sinistra.
L'accordo tra socialisti e democristiani era visto come una iattura da una buona fetta dell'opinione pubblica, come dimostrano i risultati elettorali del 1963. Molta preoccupazione in tal senso mostra la chiesa cattolica che non accetta l'idea di una collaborazione con un partito di ispirazione marxista. L'elezione di Angelo Roncalli al soglio pontificio non apporta inizialmente grosse modifiche, Giovanni XXIII si muove infatti con prudenza. Nel febbraio del '59 il cardinale Ottaviani si esprime duramente contro Fanfani e nel maggio del '60 giunge dalle colonne dell'Osservatore Romano una condanna esplicita della apertura ai socialisti. Qualcosa si sta però muovendo come dimostrerà l'enciclica Pacem in terris dove si giungealla famosa distinzione tra l'errore e l'errante. Rimane, certo, la condanna del marxismo come dottrina filosofica, ma poichè le dottrine restano ed i movimenti che ne derivano possono mutare sensibilmente, "il pericolo di dialogare con l'errore non sussisterebbe più".43 Una affermazione di principio di questo tipo non poteva non essere che un, sia pur velato, assenso alla politica del centro-sinistra.
La svolta operata da Giovanni XXIII giunge ovviamente troppo tardi per evitare le strumentali polemiche contro La dolce vita. Certo è che nel 1963 tutto quello che si era detto contro l'opera felliniana veniva a cadere di fronte ai vasti consensi raccolti dal film in tutto il mondo e dal successo economico ottenuto dalla pellicola, soprattutto in Italia, dove era stato il primo incasso della stagione 1960/61. L'arretramento dell'influenza del mondo ecclesiastico era cosa evidente agli occhi di tutti come evidente era che un nuovo senso morale fosse patrimonio comune della maggioranza della popolazione.
Tutto questo è però colto da un uomo ispirato quale era Giovanni XXIII che capisce come sia giunto il momento per la Chiesa Cattolica Romana di dare nuova vitalità al proprio apostolato. E' proprio lui, quindi, eletto al soglio pontificio come pontefice di transizione, data la sua età (77 anni), che cambia le sorti della chiesa annunciando con grande sorpresa al Sacro Collegio dei Cardinali il 25 gennaio del 1959 la sua intenzione di celebrare un Concilio Ecumenico per la Chiesa Universale.44
L'Italia del 1960 è anche rappresentata dal più grande avvenimento sportivo mai celebratosi sul suolo della nazione: le Olimpiadi di Roma. Per qualche mese gli eroi dello sport si sostituiscono a quelli della celluloide e i problemi politici passano in secondo piano. Tutto il paese si inebria delle vittorie azzurre anche se il ricordo più bello è probabilmente legato alle gesta di Livio Berruti che trionfa sui 200 metri piani nello stadio Olimpico mentre uno stormo di colombe, quasi a simboleggiare le speranze degli italiani, si librano in volo.
8.4 Qualcosa di totalmente nuovo
8.4.1 Pioggia di miliardi
Il 1960 non è solo una data simbolica in cui situare per comodità il miracolo economico. In questo anno si verificano diversi episodi che influenzano profondamente la storia del costume italiano. Questo non dipende ovviamente dalla Dolce vita anche se, direttamente o indirettamente, molta parte della vita sociale del paese viene toccata dalle polemiche e dalle discussioni relative al film. A fianco e a sfavore di Fellini si ritrovano, infatti, personaggi appartenenti a tutti gli schieramenti politici e di ogni ceto sociale. Con un ribaltamento di 180 gradi, tolte le dovute eccezioni, chi si batteva a favore di Fellini contro la cultura di sinistra ai tempi de Le notti di Cabiria si ritrova a deprecare il cineasta riminese additandolo come uno dei responsabili della diffusione del male. Chi, invece, usava toni duri verso di lui per il suo meschino misticismo e perché non sufficientemente realista, ora lo difende in nome della libertà dell'artista.
Queste polemiche servono poi, di fatto, solo allo sfruttamento commerciale della pellicola. Le ridicole accuse di pornografia mosse dai moralisti non fanno altro che il gioco del regista attirando al cinema migliaia di curiosi che fanno incassare a La dolce vita una cifra che, rivalutata al 1993, supera i 113 miliardi. Un caso analogo può avere determinato gli ottimi risultati di un altro film che ha provocato discussioni: Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti. Il film di Visconti subisce, infatti, per opera della censura una serie di tagli. E' tuttavia significativo come, intorno al 1960, i maggiori registi italiani escano con alcune tra le opere più importanti del cinema italiano ed è singolare come mentre Fellini, Visconti e non dimentichiamoci Antonioni mostrano nuove vie attraverso cui il cinema può espandersi, Rossellini e De Sica sono entrambi coinvolti, nel peraltro ottimo, Generale Della Rovere. Gli straordinari incassi registrati da La dolce vita non possono giustificarsi solo con l'impressionante e involontario battage pubblicitario. I discreti risultati di altri film d'autore potrebbero, invece, essere il risultato di una identificazione assoluta tra intellettuali e pubblico. Nel momento in cui si è inebriati dal successo economico e dal benessere raggiunto, questi registi individuano chiaramente i mali sotterranei, le inquietudini, le ansie che gli italiani avvertono esserci.
8.4.2 Il potere dal volto umano
La speranza di un avvenire migliore è destinato a svanire rapidamente. Gli anni sessanta che si annunciavano straordinari iniziano sotto il segno degli scontri di piazza, dal risvegliarsi delle lotte sindacali, dall'angosciante lavoro sotterraneo dei servizi segreti in collegamento con settori reazionari della nazione. Le speranze suscitate da Papa Giovanni XXIII e da John Kennedy sono seppellite con loro e i due personaggi rimangono impressi nella memoria collettiva degli italiani fino al punto di essere rappresentati insieme, unitamente a Robert Kennedy ucciso nel 1968, in souvenir di tutti i generi e tipo. Tutto ciò appare ancora più evidente se si considera che uno di questi oggetti figura addirittura sulla credenza della casa dei fratelli Roncalli.45
I due personaggi svolgono il loro compito circondati da un affetto inusuale in quanto entrambi rappresentano il volto umano del potere. La loro morte coincide con il ritorno alla realtà, il miracolo economico si esaurisce senza che dalle forze politiche giungano segnali confortanti.
Una nuova morale è comunque delineata. O una amoralità come risultato dello straniamento culturale provocato dalle borgate così luminosamente espresse da Visconti, ma che hanno il loro cantore più lucido in Pasolini. O ancora l'immoralità voluta, cercata dai protagonisti della Dolce vita sprofondati nella loro ricchezza e nella loro disperazione.
Il comune senso del pudore ne esce sconvolto e irrimediabilmente sconfitto, per la censura da ora in poi è solo un limitare i danni.
Nella Dolce vita si parla e si mostra esplicitamente di libero amore, adulterio, droga, omosessualità, alcoolismo, fanatismo religioso e di tutto quello che fino ad allora era assoluto tabù. Nulla e nessuno viene risparmiato: non la chiesa, non il cinema, non la borghesia, né il proletariato. Niente appare positivo, neppure gli intellettuali sono esenti da abomini quali sono l'omicidio e il suicidio compiuti da Steiner: una cattedrale gotica così alta da non poter sentire nessuno.
Eppure, in questo sfacelo, dalla miseria di questo sconfortante quadro della società italiana emerge e resta un sorriso, simbolo della purezza da cui Marcello si allontana senza poterne comprendere il significato
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