Dossier:

Il noir americano nel cinema di Jean Pierre Melville a cura di Luisa Carretti

Elementi del noir americano il Le Doulos e in Le Samourai.
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L'ambientazione

Melville sceglie come ambientazione la grande città, Parigi, e nello specifico fa vivere e agire i suoi personaggi a Pigalle, centro della malavita e del divertimento basato sul gioco d’azzardo e sullo sfruttamento del sesso. Se da un lato questa scelta lo avvicina alla tradizione del polar francese degli ultimi anni (ricordiamo che Touchez pas au grisbi e Du Rififi chez les hommes, come altri film dell’epoca erano ambientati nello stesso quartiere), dall’altro lui se ne allontana, manifestando la volontà di sganciare il suo universo da una realtà fortemente francese. Se infatti in Bob, le flambeur racconta il “milieu”come egli stesso lo aveva conosciuto nel periodo precedente alla guerra, mostrandoci anche il quartiere in cui gli uomini della malavita agivano, in Le Doulos la volontà di universalizzare il suo mondo, distaccarlo dalla realtà del milieu parigino, per farlo entrare in una dimensione altra  (quella dell’irrealtà, del delirio o dell’incubo), si manifesta nello zoom indietro con il quale all’inizio del film si allontana dalla cupola del Sacre Coeur (Montmartre).  Sarà il primo passo verso l’irrealtà assoluta degli ambienti di Le Samouraï.
Un lento processo verso l’astrazione dalla contingente realtà francese, dunque, che si compie passando attraverso gli stereotipi del noir americano.
Restando legato alla tradizione, Melville ci mostra uno spazio deterritorializzato, debolemente determinato: angoli di strade, periferie anonime e deserte, spazi di passaggio come fermate della metropolitana, ponti ferroviari, cabine telefoniche, commissariati, alberghi e locali notturni. La città ha la fisionomia disordinata e caotica delle metropoli del noir americano, la cui atmosfera è rievocata dai nomi dei locali frequentati dai protagonisti. Il “New York” bar, il “Donald’s”, il “Cotton club” in Le Doulos e il “Martey’s” in Le Samouraï. Interessante a questo proposito notare come nel découpage originale di Le Doulos, Melville avesse attribuito un nome francese al “New York” bar, si chiamava Gavarnie, per poi modificarlo nella sceneggiatura finale.

…gli interni…


Se dovessimo fare una veloce analisi degli interni e del loro arredamento non riusciremmo a trovare differenze con quelli ai quali il noir americano ci aveva abituati. Sono interni in cui lo sguardo è sempre ostacolato da un’atmosfera  nebbiosa  (causata dal fumo di sigarette), in cui l’arredamento rispecchia un gusto a metà fra il moderno e l’esotico: la grande foglia e i tubi in vetro del night  “Martey’s” che, calandoci in un’atmosfera fredda e surreale, creano un forte contrasto con le pareti completamente nere del locale, contro le alte sculture di guerrieri indigeni che occupano gli angoli della sala del “Cotton club”, come sagome minacciose che incombono, con i loro sorrisi beffardi e cinici, sui clienti del locale di proprietà di  Nuttecchio.  In questi night, come nei piccoli bar di Montmartre frequentati da Silien, Faugel e Jean, orchestre composte da musicisti di colore suonano musica Jazz, mentre ballerine poco vestite danzano in modo seducente sul bancone del bar o sulla pista da ballo, in posizione centrale all’interno della sala.
La figura del barman ha in questi ambienti, un ruolo solo apparentemente secondario: impegnato a servire i clienti, contribuisce a mantenere il segreto sulla doppia vita che anima questi luoghi: dietro alla rispettabile facciata della sala frequentata da coppie e uomini della buona borghesia, si nascondono le attività illegali di bande criminali organizzate nelle stanze private e negli uffici  dei proprietari. Il barman è colui che ha accesso ai due mondi e che conosce ciò che accade al di là della porta sulla quale appare la scritta “ Privato”, ma finge di essere all’oscuro di tutto, o parla in cambio di laute ricompense.
In Le Doulos l’allusione a questa ambiguità è chiara nelle parole di un Silien in visita al locale di Nuttecchio:

Silien (facendo riferimento alla porta in fondo alle scale che permette di accedere agli    uffici di Nuttecchio): “ Qu’ est- ce qu’il y a là haut comme spectacle?”
Barman: “ Ici monsieur Silien?”
Silien: “ Non, là haut, le jeu, ça marche?”
Barman: “ Je ne sais pas.”
Silien: “ Qu’est ce que c’est déjà? …Bac à tout va? Chemin de fer?”
Barman: “ Oh!…Vous savez  Monsieur Silien, moi, en dehors du bar…”
Silien (con tono ironico): “ Poker?”
Barman ( infastidito): “ Oui, je crois.”

 

Siamo quindi in presenza di luoghi riconvertiti in cui l’ambiguità resta una costante, poiché la loro funzione primaria viene meno a favore di altre attività. Esempi evidenti sono la stanza d’albergo in cui Jef si reca per definire la seconda parte del suo alibi, la stanza del Paris Hotel affittata dalla polizia per tenere sotto controllo Jef, o ancora l’appartamento di Jean e Anita nel quale Maurice viene nascosto dopo essere stato ferito. Nel primo caso, la stanza diventa una bisca clandestina affittata per tutta la notte da uomini dall’aria rispettabilee alla quale si può accedere soltanto se si è a conoscenza del segnale in codice. Nel secondo caso la stanza diventa una centrale operativa della polizia che, con ricetrasmittenti e registratori, spera d’incastrare Jef. Il terzo caso è forse il più interessante in quanto siamo di fronte ad una duplice ambiguità: una camera da letto (quella di Anita) trasformata in stanza d’ospedale (da notare la flebo appesa ad una lampada a muro) in cui opera un dottore che in realtà è un veterinario.
L’ambiguità della sua figura viene svelata solo nella parte finale della sequenza dallo stesso Maurice. Melville lascia convincere della competenza e della professionalità del dottore (i suoi gesti misurati ce lo fanno pensare), per poi rivelare l’inganno e mostrare un uomo completamente diverso: la sua andatura e il suo viso ricordano il dottore di Ombre rosse, un vecchio ubriacone che vive di sotterfugi e di inganni.
Questa sequenza è ancora molto importante nell’analisi del rapporto con il noir americano, perché ricorda l’ultima sequenza di Giungla d’asfalto, soprattutto nel comportamento dei due personaggi Maurice e Dick. Entrambi, feriti in uno scontro a fuoco, negano la debolezza del loro corpo, strappando la flebo dal braccio e correndo affannosamente verso la riaffermazione della loro dignità.
Gli interni che Melville mostra (come accade nel noir) sono tanto importanti, in quanto concretizzazione delle specificità dei personaggi: pensiamo all’appartamento di Fabienne in Le Doulos. E’ un piccolo appartamento arredato con un gusto orientale dove tutto rimanda alla sua immagine di geisha, di donna che per servire l’uomo che ama è capace anche di mentire o di lasciare morire un uomo. Paraventi, statue, ceramiche e mobili decorati con immagini di vita orientale ricordano direttamente gli interni de Il grande sonno, come anche il suo abbigliamento, paragonabile a quello di Carmen, la sorella drogata e ninfomane vittima di ricatto nel film di Hawks appena citato.
 Pensiamo anche all’appartamento di Gilbert in cui ad una facciata esterna, lugubre e minacciosa, corrispondono delle stanze misere e  arredate soltanto con qualche vecchio mobile: nell’ingresso accanto alla porta, uno specchio rotto, una strana statuetta esotica e sul muro accanto alla scala una maschera africana. L’atmosfera cupa che regna nella casa, sembra materializzare la corruzione di un uomo, la cui ambiguità è resa chiara subito dopo la sua morte: nella prima sequenza del film, infatti, il gesto compiuto da Maurice (sparare a Gilbert) sembra assolutamente immotivato. I suoi discorsi, il suo atteggiamento lasciano intendere il  forte legame di amicizia esistente fra i due, ma nella sequenza successiva scopriremo che Gilbert, qualche anno prima, aveva ucciso la donna di Maurice, sospettata di essere un’informatrice della polizia.
   Siamo in un mondo in cui i luoghi frequentati sono sempre scuri, a causa delle pesanti tende che coprono le finestre  o delle veneziane sempre abbassate che filtrano la luce del giorno, creando delle strane ombre sui muri.  La luce artificiale, prodotta da lampade da tavolo disseminate sui mobili presenti nell’ambiente, permette al regista di creare ambigui giochi di luce e ombra che riproducono sui muri le sagome deformate dei personaggi o che frammentano i corpi, esteriorizzando la corruzione della loro anima; giochi di luce e ombre che frammentano gli spazi attraversandoli con linee verticali e oblique.  
In questo Melville resta molto vicino alle scelte espressioniste del noir americano. Si ricordi a proposito la  sequenza in cui Silien fa visita a Maurice nell’appartamento di Thérèse. E’ un appartamento arredato con gusto moderno, che ricorda gli interni del noir americano, in cui la luce moltiplica i corpi dei protagonisti, stagliando sui muri le ombre delle loro silhouette. Sono ovviamente delle ombre dalla forte valenza simbolica: ingigantiscono i loro corpi sovrastandoli come un destino  pericoloso che incombe  minacciosamente, oppure li moltiplicano, precedendoli o seguendoli, a rafforzare il sentimento di ambiguità che percorre tutto il film.
In un certo senso però, Melville trascende dalle scelte del noir americano. Se questo, infatti, ci mostra ambienti svuotati e insolitamente frequentati di notte dai protagonisti (pensiamo a La fiamma del peccato), Melville ci mostra l’insolito nella frequentazione di quei luoghi che di notte sarebbero popolati e che di giorno non lo sono, o al contrario ci racconta la grande attività di luoghi eccezionalmente affollati di notte.  Due sequenze in particolare dimostrano ciò che ho appena affermato: in Le Doulos, la sequenza in cui Silien s’insinua di giorno nel locale di Nuttecchio, e in Le Samouraï, la sequenza che racconta la grande attività dei commissariati di polizia, che svolgono le loro funzioni di notte e il giorno si svuotano lasciando liberi i sospettati di omicidio.
Per quel che riguarda gli interni dei commissariati, si è già accennato al fatto che Melville abbia tentato di arredarli secondo un gusto chiaramente americano. Le finestre a ghigliottina, le scrivanie, i muri in vetro che separano i diversi uffici, sono un chiaro omaggio al noir. Quello che invece si rivela come molto originale è l’ironia con cui affronta due topoi di genere come l’interrogatorio e l’indagine.           Si fa riferimento soprattutto alla sequenza sopra citata del film Le Samouraï. Anche in questo caso, il commissariato si trasforma in uno spazio frammentato e labirintico soprattutto a causa del nervoso vagare del commissario da un ufficio all’altro per incontrare i vari protagonisti dell’azione. E’ un luogo in cui la forte gerarchizzazione del mondo della legalità viene figurativizzata dal diverso arredamento degli uffici: scrivanie e sedie di metallo, con predominanza di colori freddi  in quelli dei semplici ispettori contro la grande scrivania in legno, le poltrone, le sedie e la porta imbottite di pelle dell’ufficio del commissario Clain. 
 La messinscena che il commissario Clain organizza nel tentativo di verificare la prima parte dell’alibi di Jef è uno dei momenti più ironici del film, con cui il regista si prende gioco dei mezzi utilizzati dalla polizia. Analizzando una seconda volta l’intera sequenza sarebbe possibile individuare nel primo riconoscimento un chiaro omaggio al noir, in particolare a Giungla d’asfalto, mentre nel secondo riconoscimento il tentativo di giocare con uno dei momenti fondamentali del genere.

…e gli esterni del noir

Tornando ad un’analisi degli esterni, è da notare come in Melville esistano entrambe le periferie del noir americano. Maurice Faugel (Serge Reggiani) ci viene presentato in una periferia deserta e desolata, animata soltanto dal soffiare  del vento e dal fischio dei treni, manifestazione sonora della desolazione morale dei personaggi. A questa periferia, in cui Maurice uccide il suo “amico” Gilbert Varnove, si contrappone in modo quasi simmetrico quella ricca di Neuilly, nella quale lo stesso Maurice (con il suo complice Rémy) cerca di riscattarsi da un destino che lo aveva reso un perdente e in cui commette un secondo omicidio, quello di Salignari, commissario e amico di Silien (Jean-Paul Belmondo).  Dunque, se la periferia povera è quella in cui i malviventi vivono, organizzano furti, stipulano contratti o dividono la refurtiva, quella ricca è il luogo in cui i piani si concretizzano, in cui i furti si eseguono. Il risultato però non cambia, perché in entrambi i casi, le uniche figure che popolano la  notte di questi luoghi restano poliziotti e malviventi.
 Anche in Le Samouraï, Jef  vive in un palazzo fatiscente nella periferia nord-est di Parigi, come colui che gli fornisce armi e documenti opera in un garage che si trova in una periferia ancora più anonima e desolata di quella in cui ci viene presentato per la prima volta Maurice.
Il ponte sul quale Jef incontra il sicario che vuole ucciderlo è un altro dei luoghi più comuni nel noir, che in Melville assume una valenza quasi assimilabile al genere western.
Jef avanza verso l’uomo in fondo al ponte, come se stesse per affrontare quest’ultimo in un duello.  Jef è appena uscito dal commissariato dopo una notte d’interrogatori e, dopo essere riuscito a seminare la polizia che lo pedinava, si reca all’appuntamento con l’uomo incaricato di pagargli il lavoro compiuto. Una serie di piani americani e campi medi ci mostrano Jef attraversare i corridoi dell’edificio completamente deserto della stazione ferroviaria.
La macchina da presa è all’esterno in fondo alla passerella, dalla parte opposta alla porta dalla quale uscirà Jef.
Jef avanza lentamente, mani in tasca, verso un uomo  di cui vediamo in primo piano la nuca. Le sue mani in tasca fanno pensare alla posizione delle mani di un cow-boy pronto a sfilare la pistola dalla fondina, per difendersi in un duello.
Il dialogo fra i due è essenziale e viene raccontato con una serie di primi piani in campo/controcampo in cui i due uomini si fissano negli occhi con grande attenzione, come per essere pronti a reagire nel caso in cui uno dei due dovesse compiere un passo falso.
Melville è molto bravo nel creare una sensazione d’instabilità, un’atmosfera di tensione che non sarebbe legittimata, ma che in effetti ci porta dritti al piano  in cui la macchina da presa è al di là della ringhiera laterale della passerella. Sentiamo il rumore di due spari e vediamo l’uomo  scappare dal lato opposto a quello di Jef. Melville, riprendendo l’azione in panoramica da destra verso sinistra (come per riprodurre il punto di vista di qualcuno sul treno che sta passando e di cui sentiamo in fuori campo il fischio) e soprattutto scegliendo un campo lungo, non ci permette di comprendere bene ciò che accade. Ad un’apparente calma dei due personaggi si contrappongono delle scelte di ripresa che lasciano trasparire il caos e la confusione che regna nel mondo interiore di Jef. Oltretutto Melville sceglie di ambientare questa sequenza durante le prime ore del giorno, mostrandoci uno di quei tanti luoghi che abitualmente di giorno sarebbero pieni di gente, che invece ci appaiono completamente deserti.  Proprio questa scelta ci fa pensare al genere western, in cui il duello fra due cow- boy si svolge sempre all’alba e in un luogo deserto. Come anche la decisione di mostrarci l’azione con un campo lungo, ci rimanda immediatamente alla tradizione western.
Stesso discorso per la prima sequenza di Le Doulos: durante i primi tre piani del film, vediamo  Maurice camminare lungo una strada deserta e non asfaltata che costeggia il ponte ferroviario. Con un campo lunghissimo Melville ci mostra un ambiente che campeggia sul personaggio creando però un effetto molto diverso da quello prodotto dai campi lunghi del western. Infatti in questo caso l’ambiente non si mostra in tutta la sua bellezza e grandiosità, non è una distesa sterminata da conquistare, ma inghiotte il personaggio mostrandone tutta la debolezza e l’impotenza.

La campagna come luogo di  purificazione

Ultimo elemento importante riguardo al rapporto fra l’ambientazione dei film di Melville e quello del noir americano è il riferimento alla campagna come luogo nel quale purificarsi dalla corruzione della vita cittadina oppure per nascondersi e far perdere la tracce di sé.
E’ un tema tipico del noir americano (pensiamo a Giungla d’asfalto oppure a I gangster) che troviamo in particolare in Le Doulos e Le deuxième souffle. Per quel che riguarda questo secondo film ricordiamo che il protagonista Gu, evaso di prigione, viene nascosto dai suoi amici in una casa nella campagna intorno a Marsiglia, per non essere trovato dalla polizia. Come la tradizione del noir americano insegna, però, non è possibile scappare al proprio destino, e quindi, Gu sarà trovato dalla polizia e indotto con un tranello al tradimento dei suoi compagni.
In Le Doulos, invece, sono tre i momenti in cui si affronta questo tema: durante il dialogo fra Gilbert e Maurice; durante l’interrogatorio di Silien nell’ufficio del Commissario Clain; nell’ultima sequenza, importante perché viene introdotto un altro elemento simbolo della purificazione della città: il cavallo.
Nella prima sequenza citata, Maurice Faugel si reca da Gilbert, che preoccupato per il momento difficile vissuto dal suo amico, gli offre parte del guadagno ricavato dalla vendita di refurtiva, per  permettergi di  ritirarsi in campagna a ritrovare la forza giusta per ricominciare:

Gilbert: “…dès que les receleurs m’auront payé, je te donnerais de quoi aller quelque temps à la campagne…Et tu essaieras de revenir avec une autre tête…” 

Nella sequenza dell’interrogatorio, Silien viene portato da Clain al commissariato per avere informazioni sull’omicidio di  Gilbert Varnove e sul furto di Neuilly.  Silien esprime il desiderio di andare via dalla città in un luogo dove non esistono né poliziotti né malviventi:

Silien: “…maintenant écoutez-moi bien, vous autres à votre tour…Salignari est mort…et moi je laisse tout tomber. Je vais vivre ailleurs, je ne sais pas encore où, mais s’il existe un pays sans police ni truands, ça sera celui-là”.

Silien si riferisce ovviamente alla casa che ha fatto costruire in campagna, a Ponthierry, nella quale progetta di trasferirsi.  Questa, simbolo della purificazione e del cambiamento, è il punto debole sul quale insiste la polizia per costringerlo a fornire loro delle informazioni. E Silien, per paura di vedere contaminato il suo sogno, finisce per cadere nella trappola (almeno questo è quello che lo spettatore percepisce).
Ancora più avanti nel film, Silien fa riferimento alla propria casa e al proprio desiderio di ricominciare una nuova vita: siamo al New York bar, Silien spiega a Maurice come si sono svolti i fatti, svelandogli la vera natura di Thérèse. Alla fine del discorso, nel salutare i suoi amici, Silien pronuncia delle parole che suonano come una previsione del suo destino che si sta per compiere:

Silien: “…J’ai l’intention de me retirer…Je me suis installé à Ponthierry une belle maison isolée sur la colline, je crois que je vais arrêter…Dans ce métier, on finit toujours clochard,… ou avec quelques balles dans la peau…”

 Come nel noir dunque, anche nei film di Melville si materializza l’opposizione città vs campagna e si concretizza l’impossibilità per i protagonisti di purificarsi dal marcio della città. Il loro destino di morte li segue anche al di fuori dell’ambiente urbano, per compiersi inesorabilmente.
Nell’ultima sequenza del film, infatti, Melville ci racconta la morte dei due protagonisti per mano di un sicario americano, pagato dallo stesso Maurice per eliminare il suo amico, convinto che fosse stato lui a tradirlo. La sua fuga verso Ponthierry per avvertire Silien, sarà un inutile tentativo di sfuggire al destino dell’eroe del noir.
Notare come Melville preannunci il disastro, ricorrendo ad un altro degli espedienti molto utilizzati dal noir: il tempo.
Se all’inizio del film, infatti, un vento sinistro e una leggera nebbia definivano l’atmosfera ambigua e corrotta del film, la pioggia intensa in quest’ultima sequenza ci avverte del dramma imminente e contrasta con l’atteggiamento positivo di Silien, sicuro del lieto fine.
Lo stesso accade con il film Le Samouraï in cui il cielo è sempre coperto da una coltre di nubi che rendono l’atmosfera grigia e cupa.
Altro simbolo della purificazione della vita in campagna è il cavallo. Come il protagonista di Giungla d’asfalto pensa alla sua nuova vita in un maneggio, così Silien ha una piccola stalla e un cavallo, che saluta con grandi dimostrazioni d’affetto, prima di attraversare il lungo viale che lo divide dalla morte. Ma per entrambi il cavallo si rivela una falsa promessa: è il miraggio di una vita felice che non potrà compiersi ma nella cui realizzazione i due protagonisti credono fermamente sino alla loro morte.

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