Dossier:

Il noir americano nel cinema di Jean Pierre Melville a cura di Luisa Carretti

Elementi del noir americano il Le Doulos e in Le Samourai.
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…gli interni…


Se dovessimo fare una veloce analisi degli interni e del loro arredamento non riusciremmo a trovare differenze con quelli ai quali il noir americano ci aveva abituati. Sono interni in cui lo sguardo è sempre ostacolato da un’atmosfera  nebbiosa  (causata dal fumo di sigarette), in cui l’arredamento rispecchia un gusto a metà fra il moderno e l’esotico: la grande foglia e i tubi in vetro del night  “Martey’s” che, calandoci in un’atmosfera fredda e surreale, creano un forte contrasto con le pareti completamente nere del locale, contro le alte sculture di guerrieri indigeni che occupano gli angoli della sala del “Cotton club”, come sagome minacciose che incombono, con i loro sorrisi beffardi e cinici, sui clienti del locale di proprietà di  Nuttecchio.  In questi night, come nei piccoli bar di Montmartre frequentati da Silien, Faugel e Jean, orchestre composte da musicisti di colore suonano musica Jazz, mentre ballerine poco vestite danzano in modo seducente sul bancone del bar o sulla pista da ballo, in posizione centrale all’interno della sala.
La figura del barman ha in questi ambienti, un ruolo solo apparentemente secondario: impegnato a servire i clienti, contribuisce a mantenere il segreto sulla doppia vita che anima questi luoghi: dietro alla rispettabile facciata della sala frequentata da coppie e uomini della buona borghesia, si nascondono le attività illegali di bande criminali organizzate nelle stanze private e negli uffici  dei proprietari. Il barman è colui che ha accesso ai due mondi e che conosce ciò che accade al di là della porta sulla quale appare la scritta “ Privato”, ma finge di essere all’oscuro di tutto, o parla in cambio di laute ricompense.
In Le Doulos l’allusione a questa ambiguità è chiara nelle parole di un Silien in visita al locale di Nuttecchio:

Silien (facendo riferimento alla porta in fondo alle scale che permette di accedere agli    uffici di Nuttecchio): “ Qu’ est- ce qu’il y a là haut comme spectacle?”
Barman: “ Ici monsieur Silien?”
Silien: “ Non, là haut, le jeu, ça marche?”
Barman: “ Je ne sais pas.”
Silien: “ Qu’est ce que c’est déjà? …Bac à tout va? Chemin de fer?”
Barman: “ Oh!…Vous savez  Monsieur Silien, moi, en dehors du bar…”
Silien (con tono ironico): “ Poker?”
Barman ( infastidito): “ Oui, je crois.”

 

Siamo quindi in presenza di luoghi riconvertiti in cui l’ambiguità resta una costante, poiché la loro funzione primaria viene meno a favore di altre attività. Esempi evidenti sono la stanza d’albergo in cui Jef si reca per definire la seconda parte del suo alibi, la stanza del Paris Hotel affittata dalla polizia per tenere sotto controllo Jef, o ancora l’appartamento di Jean e Anita nel quale Maurice viene nascosto dopo essere stato ferito. Nel primo caso, la stanza diventa una bisca clandestina affittata per tutta la notte da uomini dall’aria rispettabilee alla quale si può accedere soltanto se si è a conoscenza del segnale in codice. Nel secondo caso la stanza diventa una centrale operativa della polizia che, con ricetrasmittenti e registratori, spera d’incastrare Jef. Il terzo caso è forse il più interessante in quanto siamo di fronte ad una duplice ambiguità: una camera da letto (quella di Anita) trasformata in stanza d’ospedale (da notare la flebo appesa ad una lampada a muro) in cui opera un dottore che in realtà è un veterinario.
L’ambiguità della sua figura viene svelata solo nella parte finale della sequenza dallo stesso Maurice. Melville lascia convincere della competenza e della professionalità del dottore (i suoi gesti misurati ce lo fanno pensare), per poi rivelare l’inganno e mostrare un uomo completamente diverso: la sua andatura e il suo viso ricordano il dottore di Ombre rosse, un vecchio ubriacone che vive di sotterfugi e di inganni.
Questa sequenza è ancora molto importante nell’analisi del rapporto con il noir americano, perché ricorda l’ultima sequenza di Giungla d’asfalto, soprattutto nel comportamento dei due personaggi Maurice e Dick. Entrambi, feriti in uno scontro a fuoco, negano la debolezza del loro corpo, strappando la flebo dal braccio e correndo affannosamente verso la riaffermazione della loro dignità.
Gli interni che Melville mostra (come accade nel noir) sono tanto importanti, in quanto concretizzazione delle specificità dei personaggi: pensiamo all’appartamento di Fabienne in Le Doulos. E’ un piccolo appartamento arredato con un gusto orientale dove tutto rimanda alla sua immagine di geisha, di donna che per servire l’uomo che ama è capace anche di mentire o di lasciare morire un uomo. Paraventi, statue, ceramiche e mobili decorati con immagini di vita orientale ricordano direttamente gli interni de Il grande sonno, come anche il suo abbigliamento, paragonabile a quello di Carmen, la sorella drogata e ninfomane vittima di ricatto nel film di Hawks appena citato.
 Pensiamo anche all’appartamento di Gilbert in cui ad una facciata esterna, lugubre e minacciosa, corrispondono delle stanze misere e  arredate soltanto con qualche vecchio mobile: nell’ingresso accanto alla porta, uno specchio rotto, una strana statuetta esotica e sul muro accanto alla scala una maschera africana. L’atmosfera cupa che regna nella casa, sembra materializzare la corruzione di un uomo, la cui ambiguità è resa chiara subito dopo la sua morte: nella prima sequenza del film, infatti, il gesto compiuto da Maurice (sparare a Gilbert) sembra assolutamente immotivato. I suoi discorsi, il suo atteggiamento lasciano intendere il  forte legame di amicizia esistente fra i due, ma nella sequenza successiva scopriremo che Gilbert, qualche anno prima, aveva ucciso la donna di Maurice, sospettata di essere un’informatrice della polizia.
   Siamo in un mondo in cui i luoghi frequentati sono sempre scuri, a causa delle pesanti tende che coprono le finestre  o delle veneziane sempre abbassate che filtrano la luce del giorno, creando delle strane ombre sui muri.  La luce artificiale, prodotta da lampade da tavolo disseminate sui mobili presenti nell’ambiente, permette al regista di creare ambigui giochi di luce e ombra che riproducono sui muri le sagome deformate dei personaggi o che frammentano i corpi, esteriorizzando la corruzione della loro anima; giochi di luce e ombre che frammentano gli spazi attraversandoli con linee verticali e oblique.  
In questo Melville resta molto vicino alle scelte espressioniste del noir americano. Si ricordi a proposito la  sequenza in cui Silien fa visita a Maurice nell’appartamento di Thérèse. E’ un appartamento arredato con gusto moderno, che ricorda gli interni del noir americano, in cui la luce moltiplica i corpi dei protagonisti, stagliando sui muri le ombre delle loro silhouette. Sono ovviamente delle ombre dalla forte valenza simbolica: ingigantiscono i loro corpi sovrastandoli come un destino  pericoloso che incombe  minacciosamente, oppure li moltiplicano, precedendoli o seguendoli, a rafforzare il sentimento di ambiguità che percorre tutto il film.
In un certo senso però, Melville trascende dalle scelte del noir americano. Se questo, infatti, ci mostra ambienti svuotati e insolitamente frequentati di notte dai protagonisti (pensiamo a La fiamma del peccato), Melville ci mostra l’insolito nella frequentazione di quei luoghi che di notte sarebbero popolati e che di giorno non lo sono, o al contrario ci racconta la grande attività di luoghi eccezionalmente affollati di notte.  Due sequenze in particolare dimostrano ciò che ho appena affermato: in Le Doulos, la sequenza in cui Silien s’insinua di giorno nel locale di Nuttecchio, e in Le Samouraï, la sequenza che racconta la grande attività dei commissariati di polizia, che svolgono le loro funzioni di notte e il giorno si svuotano lasciando liberi i sospettati di omicidio.
Per quel che riguarda gli interni dei commissariati, si è già accennato al fatto che Melville abbia tentato di arredarli secondo un gusto chiaramente americano. Le finestre a ghigliottina, le scrivanie, i muri in vetro che separano i diversi uffici, sono un chiaro omaggio al noir. Quello che invece si rivela come molto originale è l’ironia con cui affronta due topoi di genere come l’interrogatorio e l’indagine.           Si fa riferimento soprattutto alla sequenza sopra citata del film Le Samouraï. Anche in questo caso, il commissariato si trasforma in uno spazio frammentato e labirintico soprattutto a causa del nervoso vagare del commissario da un ufficio all’altro per incontrare i vari protagonisti dell’azione. E’ un luogo in cui la forte gerarchizzazione del mondo della legalità viene figurativizzata dal diverso arredamento degli uffici: scrivanie e sedie di metallo, con predominanza di colori freddi  in quelli dei semplici ispettori contro la grande scrivania in legno, le poltrone, le sedie e la porta imbottite di pelle dell’ufficio del commissario Clain. 
 La messinscena che il commissario Clain organizza nel tentativo di verificare la prima parte dell’alibi di Jef è uno dei momenti più ironici del film, con cui il regista si prende gioco dei mezzi utilizzati dalla polizia. Analizzando una seconda volta l’intera sequenza sarebbe possibile individuare nel primo riconoscimento un chiaro omaggio al noir, in particolare a Giungla d’asfalto, mentre nel secondo riconoscimento il tentativo di giocare con uno dei momenti fondamentali del genere.

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