Jef
La sequenza del ferimento in cui Jef incontra il killer sul ponte ferroviario è il momento che segna l’inizio della caduta di questo eroe. Anche in questo caso Jef compie un errore degno soltanto di un personaggio come Maurice. Si fida del suo padrone (di cui il killer è in quel momento il rappresentante) ed una volta scoperto il complotto alle sue spalle, dedicherà tutta la seconda parte del film a vendicare il suo onore e la sua professionalità. Come per Le Doulos è dunque possibile individuare un evento spartiacque, la sequenza sul ponte ferroviario, che segna l’inizio di un cambiamento irreversibile. In realtà al ferimento, seguiranno altri due eventi che spingeranno Jef al suicidio: il mancato aiuto della pianista e ancor più importante, la scoperta di non poter più contare sull’uomo del garage, dunque su colui che gli forniva gli strumenti per compiere il suo lavoro. L’ultimo incontro con quest’uomo è molto importante per comprendere la scelta di Jef, un uomo che vive in funzione del suo lavoro e che nel suo lavoro trova il compimento della propria personalità. “Je te previens Jef, c’est la dérniere fois!”, l’unica frase che quest’uomo pronuncia per tutto il film assume per questo un significato molto profondo, e nonostante Jef reagisca con la solita apparente impassibilità, è cosciente che per lui è arrivata veramente la fine.
La prima parte del film infatti ci mostra un uomo invincibile e infallibile che vaga per una Parigi notturna tanto irreale ed evanescente quanto la sua personalità, resa tale anche dalle scelte di fotografia del regista: Jef si muove in interni e in esterni in cui prevalgono toni di grigio. Pensiamo al suo appartamento: un luogo squallido e mal arredato in cui l’unico presenza di colore è nelle piume rosse della petto dell’uccellino. Questo luogo è un prolungamento della freddezza e della solitudine dell’uomo che sembra condurre la vita secondo il credo di un vero samurai: non possedere nulla perché tutto ciò che serve è nell’interiorità del suo essere. Del samurai sembra rispettare alcuni codici: essere guidato da leggi e da una morale personale; non attribuire alcun valore alla propria vita e a quella degli altri, tanto da manifestare indifferenza nei confronti della morte, affrontandola come affermazione del proprio onore. Scegliere di morire è per Jef il modo per dimostrare la verità di quella frase affermata poche ore prima: “Je ne perds jamais, jamais vraiment”.
Jef è un personaggio chiuso in se stesso, la cui personalità passa attraverso il silenzio e lo sguardo. Come nel caso di Silien è frequente la scelta del regista di inquadrare Jef in primo piano per concentrarsi su quello sguardo di serpente attraverso il quale il personaggio esprime più di quanto faccia con le parole. Durante il line up ad esempio Melville si sofferma molto spesso sul viso di colui che ha
“(…) le pouvoir hypnotiseur qu’on les serpents. Les serpents regardent leurs proies et elles ne bougent plus(…)”.
Da eroe/asceta Jef ha le doti e l’istinto di un animale feroce: è solitario, freddo e spietato. Le sue azioni sono precedute da un momento riflessivo, di meditazione o d’osservazione dell’ambiente circostante al quale ho già accennato in riferimento a Silien. Pensiamo alla sequenza presso il Martey’s: Jef entra in bagno, perché sa che da lì potrà facilmente accedere alla sala e poi agli uffici del locale. Un P.P. sui suoi occhi che osservano attentamente dalla fessura della porta racconta il momento di preparazione all’attacco. Ancora, la sequenza in cui il killer si reca a casa di Jef per ucciderlo: i due uomini sono inquadrati di profilo, Jef seduto sul letto (lo vediamo in M.F. ed abbiamo quasi l’impressione che abbia assunto la posizione del guerriero, inginocchiato ai piedi del suo padrone e pronto a ricevere la punizione), il killer in piedi. Il modo in cui è costruito l’inizio del loro incontro sembra manifestare l’intenzione del killer di finire il lavoro iniziato sul ponte. In realtà è esattamente il contrario: l’esordio minaccioso, che contrasta in assoluto con quello apparentemente amichevole della sequenza sopra menzionata, è invece seguito dalla proposta di un secondo contratto. Ma il killer continua a puntare la pistola sul viso di Jef, tradendo la sua paura nei confronti di chi è considerato un uomo “suprêment fort” (come afferma Olivier Rey). Jef non può accettare che il suo appartamento/rifugio venga violato per la seconda voltae sfruttando la paura dell’uomo riesce a fargli abbassare la guardia scatenando poi tutta la sua violenza. Per ben due volte Melville metterà Jef di fronte ad un uomo che potrebbe essere considerato un suo doppio, che come lui fa il killer di professione, come lui indossa la divisa dell’eroe/asceta. Ma è soltanto una somiglianza apparente, perché ad esempio quest’uomo non porta il cappello (accessorio fondamentale, forse più dell’impermeabile), non è una figura a parte, anzi è ben inserito nell’ambiente della malavita, ma soprattutto alla prima occasione mostra la sua debolezza e la sua viltà. Se mettiamo a confronto il comportamento di entrambi durante i due incontri, notiamo come Jef ad un attacco sferrato in modo inaspettato reagisce in modo coerente al suo personaggio, lottando e tentando di difendersi; al contrario il killer subisce la violenza di Jef in modo passivo e minacciato da una pistola non perde tempo svelando a Jef il nome del suo padrone. Altro segno della loro differenza sta nell’atteggiamento dei due uomini: se Jef sotto la minaccia della pistola assume la sua solita espressione neutra, mantenendo un atteggiamento di sfida, il killer, una volta malmenato e minacciato dalla pistola si siede sul letto curvo su se stesso e con l’espressione di colui che si dichiara sconfitto. L’ultima parte della sequenza è giocata sull’alternarsi dei PP dei due uomini e sull’espressione glaciale e spietata di Jef. Nonostante queste grandi differenze e l’evidente astuzia di Jef, il killer riesce a raggirarlo proponendogli un nuovo contratto che scopriremo essere una vera e propria proposta di suicidio per due motivi: perché l’oggetto della sua missione è la pianista, da cui lui è completamente soggiogato, e perché pur essendo cosciente del pericolo che corre, ormai sorvegliato dalla polizia, non può esimersi dal rispettare il suo dovere, essendo lui un professionista.
Un altro esempio per comprendere la personalità dell’eroe/asceta è nella prima sequenza del film: il nostro primo incontro con Jef avviene durante un altro momento meditativo (ne seguirà una simile all’inizio della seconda parte del film). Jef è steso sul letto, sguardo rivolto verso il soffitto fuma con aspirazioni lente ed espirazioni molto veloci. Melville lo inquadra con un C.M. che svela l’intero ambiente nel quale vive Jef. Come è nella tradizione del regista, in sovrimpressione la citazione (falsa) di una frase del Bushido (il libro dei Samourai) che ci introduce al personaggio e al tema del film: “Il n’y a pas de plus profonde solitude que celle du Samouraï, si ne c’est celle d’un tigre dans la jungle…peut être…” Il protagonista è immobile mentre il regista con un travelling indietro congiunto ad uno zoom in avanti con leggeri arresti della macchina da presa produce il fluttuare irreale dell’ambiente che contrasta con l’impassibilità di Jef. Un contrasto che spiega subito il tormento che quest’uomo vive: ad un’esteriorità glaciale e profondamente rigida si oppone il disordine mentale di uno schizofrenico. Melville spiega con queste parole il suo intento:
“ J’ai aimé commencer mon histoire par une sorte de description méticuleuse, médicale, pourrais-je presque dire, du comportement d’un tueur à gages qui, par définition, est un schizophrène…”
e ancora facendo riferimento a Jef:
“Il est un pur, dans le sens qu’un schizophrène ne sait pas qu’il est un criminel, bien que criminel, il le soit, par sa logique et sa réflexion”.
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