Dossier:

Il noir americano nel cinema di Jean Pierre Melville a cura di Luisa Carretti

Verso una definizione dell'universo melvilliano
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Jef

Ancora un importante esempio dell’istintività dell’uomo è nella sequenza subito successiva all’irruzione della polizia nel suo appartamento. Jef si rende conto di questo grazie all’unico essere vivente a cui concede di entrare nel proprio rifugio, l’uccellino. Questi cinguetta nervosamente, mentre Jef accanto al letto sta per telefonare alla pianista. Fra i due sembra esserci una tale e profonda intesa da permettere a Jef di capire di essere spiato e comincia a cercare la microspia. Jef vaga per l’appartamento (sempre seguito dalla macchina da presa che lo riprende in P.A.) osservando e annusando l’aria proprio come farebbe una bestia feroce. Quando il proiettile sparato dal killer lo sfiorerà, Jef benderà e curerà il suo braccio con lo stesso atteggiamento di una bestia che lecca le sue ferite, mentre il regista ci lascerà osservare tutti i suoi gesti con insistenti particolari sul braccio e sulla sua mano.
Tutti questi eventi aiutano a capire la complessità di un uomo continuamente tormentato dal forte contrasto tra un’esteriorità fredda e impassibile e un’interiorità istintiva e irrazionale che lui riesce nella maggior parte dei casi a contenere. Ma come nella prima sequenza, in un’altra occasione Melville ricorre ad espedienti tecnici per raccontarci il forte contrasto fra questi due lati della personalità dell’eroe: siamo nuovamente durante la sequenza in cui Jef si reca per l’ultima volta da Jane. Un dialogo come al solito scarno e sbrigativo e poi un breve abbraccio tanto triste e intenso da spiazzare lo spettatore il quale, per la prima volta, capisce che quest’uomo possa provare delle emozioni proprio come un normale essere umano. Jef poi si avvia verso l’uscita, inquadrato in PPP. La macchina da presa sembra schiacciare il volto dell’uomo sul muro retrostante che scorre con un movimento contrario alla direzione di Jef, producendo la sensazione che l’ambiente stia di nuovo fluttuando. A questo si aggiunge una leggera panoramica a sinistra che, combinata al movimento rotatorio verso destra del capo di Jef , il quale si gira verso Jane, ricrea quel senso di vertigine provocato dallo scontro dei due mondi che compongono la personalità del personaggio.
 Per completare il profilo di questo personaggio si deve puntare l’attenzione su altri aspetti condivisi con Silien ma portati alle estreme conseguenze, fra i quali la sua a-temporalità, la sua professionalità e il suo narcisismo.
 Ancor più di Silien infatti Jef è un uomo senza tempo, il cui passato sembra non essere mai esistito: non c’è in lui alcuna traccia del peso di eventi oramai sepolti nella memoria e manca addirittura la memoria di colui che gli sta vicino. Se infatti per eroi come Maurice, noi possiamo ricavare notizie del loro passato dalle parole degli altri personaggi, al contrario in questo caso, l’unica superflua informazione che raccogliamo su di lui è il fatto che lui sia incensurato. Jef è però anche un uomo senza presente, ancor più incorporeo di quanto non fosse stato Silien: non possiede auto, pistola o casa. Alla sua a-temporalità si aggiunge una evidente non spazialità: nonostante il regista ci fornisca le coordinate della città (e della metropolitana) in cui vive, l’atmosfera rarefatta e surreale che lui riesce a creare fa sì che Parigi sia ancor più delocalizzata di quanto non lo sia stata in Le Doulos in cui i tentativi di americanizzare l’ambiente sono evidenti in molte scelte del regista, che vanno dalle finestre a ghigliottina alle auto di marca americana che i protagonisti utilizzano.
Per ciò che riguarda la professionalità, questa deve essere considerata congiuntamente al narcisismo dell’eroe/asceta: la soddisfazione del lavoro compiuto in modo perfetto rientra in quel delirio di onnipotenza che fa credere di potere tutto, senza che il proprio coinvolgimento venga svelato. Si pensi al modo in cui Jef costruisce il suo alibi: è un perfetto meccanismo ad incastro che costringe la polizia a rilasciarlo per mancanza di prove. Nella costituzione del suo alibi Jef svela delle doti manipolatrici che avevamo già individuato in Silien. Certo non una manipolazione attraverso le parole, ma attraverso le azioni: Jef riesce a intuire la psicologia di chi gli sta intorno spingendolo ad agire secondo le sue necessità, come nel caso di Wiener ad esempio. Jef sa che potrà contare su una testimonianza favorevole per lui, soltanto puntando sul sentimento di vendetta che questi può provare nei confronti dell’amante della sua donna. Così lo aspetta nell’ingresso del condominio di Jane, facendo in modo che l’uomo si ricordi bene sia il suo viso sia il suo abbigliamento. Nella lunga sequenza al commissariato, Jef avrà la dimostrazione di quanto la sua tattica fosse esatta, perché Wiener testimonierà apparentemente contro di lui, ma in realtà scagionandolo. Sia Jef sia Silien manifestano il loro narcisismo quando si contemplano davanti allo specchio. Il rapporto con la propria immagine è infatti molto diverso da quella che ha ad esempio un personaggio come Maurice. Nei prossimi paragrafi saranno approfonditi alcuni degli aspetti da considerare rilevanti nella comprensione sia delle specificità del personaggio melvilliano sia dell’universo che il regista vuole creare intorno ad essi.


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