6.2 Non profeta in patria
6.2.1 Un film onesto
"Noi preferiamo IL BIDONE per quel suo coraggio nell'evitare soluzioni liriche, per quella precisa onestà nel rifiutare atteggiamenti simpatici o almeno accettabili nei personaggi, per quell'estrema obiettività di fronte al proprio assunto. Non è NEOREALISMO, d'accordo. Ma è umano. Forse per questo ha fatto paura un po' a tutti e qualcuno ha detto che IL BIDONE delude".
Questa critica fa subito intuire quali difficoltà abbia incontrato questo film al momento della sua uscita nelle sale. Abbiamo lasciato Fellini ai trionfi de La strada che, in giro per il mondo, continua anche nel 1955 a mietere premi e riconoscimenti. Questo successo non viene digerito dalla critica pervicacemente neorealista che aveva definito Fellini e i suoi cosceneggiatori, Pinelli e Flaiano, i "sorridenti affossatori del neorealismo". Un'ostilità preconcetta accompagna la prima a Venezia il 9 settembre 1955. Anche la stampa scandalistica fa la sua parte e pubblica pochi giorni prima del Festival la falsa notizia che Giulietta ha abbandonato il marito per Richard Basehart. L'accoglienza è gelida; il pubblico, deluso, abbandona la sala. L'insuccesso della pellicola è poi confermato dai bassi incassi al botteghino, risultato che incoraggia la critica marxista che non aspettava occasione migliore per rifarsi dello smacco subito l'anno precedente.
Il bidone non da fastidio solo ai dogmatici di sinistra, l'anticonformismo dell'opera sconcerta anche i recensori di altre posizioni politiche e ideologiche. Il CCC boccia il film con un giudizio molto duro e con critiche esplicite ad alcune scene come quella del capodanno o del night-club. Inoltre teme che "uno spettatore superficiale provi più che altro pietà per la triste storia del protagonista, che risulterebbe aureolato perché compie per un fine buono l'ultima azione illecita, o si soffermi con simpatia a considerare le figure dell'arricchito e di Roberto".
Una avversione di entrambi gli schieramenti che stride e fa apparire ancora più paradossali e strumentali le posizioni critiche dell'anno precedente. Fellini conscio di questo afferma che "il problema con La strada fu che la Chiesa cercò di appropriarsene, di usarlo come una bandiera. Il ritorno della spiritualità. Così Cinema nuovo vi si oppose. Ve lo assicuro, se i critici di Cinema nuovo lo avessero elogiato per primi, allora sarebbe stato il turno della Chiesa a mettere il veto".
Il provincialismo tipico della stampa italiana è colto anche all'estero come si evince dalle parole di Peter Bondanella, professore di Italiano, Storia del Cinema e Letteratura comparata alla Indiana University: "C'è sempre stata da parte della critica italiana la tendenza a voler punire i registi che ottengono successo all'estero, come se questo fosse sempre e comunque indice di superficialità". Un atteggiamento forse non ancora del tutto scomparso, come dimostra il caso più recente, anche se con contenuti diversi, di Giuseppe Tornatore.
Proprio dall'estero, esattamente dalla Francia, vi è un tentativo per rivalutare il film che non sortirà tuttavia effetti in Italia dove l'aggressione verbale verso Fellini è fortissima.
La serie di improperi rivolta all'ultima opera del regista romagnolo è lunga e composita. Guido Aristarco definisce il film “prefabbricato” e poi accusa Fellini di non riuscire a "svincolarsi dalla sua posizione sentimentale" che gli fa provare simpatia per i suoi protagonisti, simpatia per Aristarco "abbastanza discutibile se si considera che i bidonati sono della povera gente". Tutte queste osservazioni per concludere che la latitanza di realismo dimostra la insincerità dell'autore.
Moltissimi altri critici si adeguano e in un clima da caccia alle streghe stroncano la pellicola felliniana. La lista è lunghissima: Vinicio Marinucci si limita a dire che gli errori del film sono "nel copione, nell'impostazione, nel tono e nello svolgimento della materia". Secondo Liverani i tre personaggi non acquistano mai un rilievo ben definito. Giulio Cesare Castello ritiene che in alcuni casi Il bidone sia artificioso, retorico e diseguale al punto da giudicarlo "un'opera mediocremente riuscita"; Rossetti boccia in modo irrimediabile Fellini affermando che a lui il dramma non si addic; Paquale Ojetti, infine, lamenta la mancanza "di un preciso messaggio di condanna, una morale".
L'accanimento della critica è confermato da due recensioni, pubblicate alcuni anni dopo, di Umberto Barbaro e Carlo Lizzani.
Nella prima si svilisce il film definendolo un "pastiche estetico ed ideologico" in cui si evidenzia "la sovrapposizione di una modesta filosofia a un modesto racconto", concludendo con l'affermazione che "il problema dell'uscita dall'isolamento è denunciato a chiare lettere e quindi non è interessante".
Ancora più duro è Umberto Barbaro che in suo libro afferma che "L'assurdità della trama, la narrativa sghemba e slegata, la volgarità dei fatti rappresentati, dell'atteggiamento e delle parole dei personaggi, il gusto deteriore in caccia di effetti ultra-plateali, la costante falsità delle situazioni, dei nodi narrativi e delle soluzioni si sommano in una opera totalmente mancata. Che è tra le più sgradevoli e infelici di tutta la storia della cinematografia, oltre ad essere la più goffamente presuntuosa".
Un attacco, come si vede, violentissimo ed immotivato - c'era ben di peggio in programmazione nelle sale cinematografiche di quegli anni - da apparire immediatamente strumentale e che non tiene conto del grande lavoro di ricerca compiuto dagli sceneggiatori prima della stesura del copione. Il personaggio interpretato da Broderick Crawford è, anzi, costruito direttamente sulla figura di Lupo, losca figura del sottobosco romano, che si autodefiniva artista della truffa.
A dispetto dei soloni della sinistra che ritenevano ingiusto mostrare sullo schermo imbrogli a persone povere, proprio queste erano oggetto della astuzia di questi manigoldi. Molte delle truffe mostrate nel film erano infatti vere, come realistico era l'atteggiamento di Augusto che si vantava delle sue gesta e dei suoi bidoni come se queste fossero opere d'arte. Sono anch’essi, a loro modo, altri romantici personaggi che, progressivamente stritolati dallo sviluppo industriale dell'Italia, vengono cancellati. All’orizzonte appaiono, invece, i nuovi criminali dediti ad attività più remunerative come lo spaccio della cocaina che, grazie all’incremento del consumo di droghe e agli elevati guadagni, penetra negli alti livelli della società, ambienti vietati ad Augusto che è e resta invece ai margini del mondo "perbene". Per di più il vero bidonista, è un essere solitario, non può permettersi una famiglia, come ammette a se stesso amaramente Augusto in un colloquio con Picasso e quindi è, inevitabilmente, un emarginato.
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