4.3 Per pochi voti
4.3.1 La visione di una democrazia protetta
La lavorazione del film non è minimamente disturbata dalla dura campagna, intrapresa dai partiti d'opposizione e da frange della stessa maggioranza, contro la cosiddetta "legge truffa" che assegnava i due terzi dei seggi alla coalizione di partiti che avesse ottenuto il 50 per cento più uno dei voti. Nel tentativo di impedirne l'approvazione, si scatena un durissimo ostruzionismo in parlamento superato solo da una forzatura dell'allora presidente del Senato Meuccio Ruini, succeduto a Giuseppe Paratore che si era dimesso per contrasti col governo che lo invitava ad usare questo tipo di procedura. La legge viene approvata il 29 marzo 1953, giusto in tempo per le elezioni che vengono indette per il 7 giugno dello stesso anno. E' un'altra sconfitta per il Partito Comunista appena ripresosi dallo shock causato dalla morte di Stalin, scomparso il 5 marzo.
La riforma della legge elettorale ha, però, provocato gravi lacerazioni anche all'interno della maggioranza. Dai partiti laici alleati alla DC escono personaggi che si presentano alle elezioni in formazioni nate appositamente per impedire alla coalizione formata da: DC, PSDI, PLI, PRI, Partito sardo d'azione, Sud Tiroler Volkspartei e Partito Popolare Sudtirolese di ottenere il quorum del 50% dei voti. La percentuale non viene, infatti, raggiunta anche in virtù dell'azione di queste piccole liste laiche di dissidenti - Up (Unità popolare), guidata dal liberale Corbino, e Adn (Alleanza democratica nazionale) con alla testa Calamandrei, Parri e Codignola - che raccolgono rispettivamente lo 0,5 e lo 0,6%.
Una manciata di voti, dunque, che sono però sufficienti ad impedire la realizzazione del progetto di "democrazia protetta" che De Gasperi si proponeva di realizzare con la riforma della legge elettorale. Il cartello di partiti da lui guidato raggiunge solo il 49.8% e nel corso della seconda legislatura viene poi ripristinato il proporzionale puro con la cancellazione del premio di maggioranza appena introdotto. La sconfitta politica del progetto degasperiano comporta la caduta dell'anziano leader della Dc.
La presidenza del consiglio viene così affidata al democristiano Giuseppe Pella che forma un governo monocolore con l'appoggio esterno di liberali, repubblicani e socialdemocratici. Un governo poco solido che scivolerà sulla questione di Trieste.
La città faceva parte dalla fine della seconda guerra mondiale di un territorio libero diviso in due zone controllate dalle forze vincitrici del conflitto. Nel tentativo di ridare la sovranità su questa fetta di terra Pella chiede il 13 settembre un plebiscito in entrambe le zone; in cambio promette ai partner europei l'appoggio del governo per l'ingresso dell'Italia nella CED. La violenta reazione jugoslava costringe gli alleati a ritirare il proprio appoggio alla proposta italiana. In seguito alla uccisione di sei persone, nel corso di una manifestazione a Trieste, compiuta dalla polizia locale dipendente dall'amministrazione alleata, il governo italiano schiera il proprio esercito alla frontiera.
L'intervento di Stati Uniti e Gran Bretagna porta ad un compromesso che lascia all'Italia la zona A mentre la zona B viene assegnata alla Jugoslavia. Subito dopo Pella paga le tensioni che ha causato con la sua politica estera spregiudicata venendo, di fatto, dimissionato dalla Dc che lo definisce, attraverso le parole di De Gasperi, semplicemente un "governo amico". Gli succede Mario Scelba, il “famigerato” ministro degli interni fino al '53, che forma un tripartito con i socialdemocratici e i liberali dopo un tentativo infruttuoso di Fanfani.
Le tensioni politiche non si riverberano nella opera felliniana di cui, peraltro, si erano già concluse le riprese alla fine di gennaio. Le questioni sociali che vengono toccate sono assai diverse. Appare comunque evidente l'angoscia delle giovani generazioni che si propongono alla società impreparati, incapaci di inserirsi nel mondo del lavoro. D'altro canto le possibilità che si presentano sono molto umili; Fausto si vergogna di lavorare nel negozio di arredi sacri che è ben diverso dai sogni di gloria che aveva, fino a quel momento, cullato nella sua fantasia ed il ragazzino amico di Moraldo è costretto, a soli 14 anni, a lavorare in ferrovia.
4.3.2 Andiamo al mare!
Il grande fermento di cui godeva il popolo italiano non aveva ancora agito in profondità nella mentalità della provincia. Il Sud, in modo particolare, non riuscirà a ritrovare i legami con il resto d'Italia che invece proprio nel corso del decennio decolla.
Rimini, invece, e la riviera romagnola risalgono la china grazie al turismo di massa che inizia ad imporsi dalla seconda metà degli anni cinquanta. Nel censimento del 1949 l'Emilia Romagna (disponiamo solo di dati regionali) aveva 1.789 esercizi alberghieri e poteva contare su 34.459 posti letto, ben lontana quindi dalla Lombardia che disponeva di 4.267 esercizi con la possibilità di ospitare oltre cinquantamila persone. Davanti all'Emilia Romagna c'erano anche Piemonte, Trentino, Veneto e Toscana; il Lazio era sorprendentemente molto più indietro con soli 815 esercizi e con poco più di ventiseimila posti letto.
Già nel 1954 il dato cambia: gli esercizi aumentano nella Romagna fino a raggiungere il numero di 2.590, che portano la regione ad essere seconda solo alla Lombardia, che detiene ancora il primato, e al Piemonte che però è sopravanzato nel numero di letti a disposizione.
Il dato del 1958 è invece radicalmente diverso e testimonia il boom della vacanza di massa e le mutate condizioni economiche. In Emilia Romagna si registra un aumento delle attività alberghiere di quasi il 70%, lo stesso fenomeno si registra in Liguria, altra regione balneare dove si indirizzano gli italiani che già godono di questo insperato progresso economico. Ma il boom del turismo in questa zona è ancora più riscontrabile dall'aumento del numero dei posti letto che si raddoppiano nel corso di soli 4 anni (104.753 nel '58) fino a raggiungere la quota di 145.737 che da sola è il 17% dell'intero settore in Italia.
E' facilmente comprensibile che questo incremento è dovuto quasi completamente allo sviluppo della riviera adriatica. E' ovvio a questo punto affermare che Rimini e le zone limitrofe, che erano state il paesaggio naturale dell'infanzia di Fellini, avevano subito un cambiamento così radicale da sembrare totalmente trasformate. Il che era per di più avvenuto quando il regista frequentava raramente la sua città natale poiché era impegnatissimo sul set.
4.3.3 Partire per dove?
I vitelloni felliniani non vivono l'abnorme crescita del turismo e dell'artigianato locale; certamente, però, subiscono l'incertezza tipica di ogni cambiamento epocale e la rivoluzione in atto nella provincia italiana. Questa trasformazione rendeva ogni giorno più difficile il rapporto tra padri e figli impostato in modo molto tradizionale.
I problemi tra generazioni sono confermati anche da altre fonti. Eugenio Turri nel suo libro Miracolo economico, in cui ricostruisce la vita nel veronese nel decennio in questione, affronta un caso analogo. Narra, infatti, la storia di un proprietario di un negozio di generi alimentari, Giani Formagiar, con un figlio di nome Tranquillo che è descritto così: "inquieto, con poca voglia di studiare, ambizioso, con tendenza a fare il bullo [...] uno che stava bene in piazza. [..] Passava tutta la giornata al bar a sognare avventure impossibili. Gli piacevano molto le macchine sportive con cui pensava di fare colpo sulle ragazze." Sembra il ritratto di uno dei protagonisti del film di Fellini, una riproduzione esatta di un fenomeno destinato a sedimentarsi negli usi della provincia fino a degenerare. Tranquillo finisce infatti in prigione per truffa ma si redime tornandosene a casa per tornare dietro il banco del negozio da cui credeva di fuggire.
Chi invece fugge è Moraldo che, come emerge dalle stesse dichiarazioni di Fellini, è il personaggio che più si avvicina al regista. Prende il treno e se ne va a Roma, verso la capitale dove c'era, o si sperava ci fosse, il successo, l'affermazione nel mondo dello spettacolo o forse un luogo ove svelenire l'inquietudine.
Come lui, molti altri. Si sa, infatti, che il movimento migratorio di quegli anni si volgeva soprattutto verso le regioni del nord in cui lo sviluppo economico progrediva incessantemente. Unica significativa eccezione era il Lazio. Nei due annuari ISTAT in cui sono segnate le cancellazioni e le iscrizioni anagrafiche per movimento migratorio tra Comuni italiani (1957 e 1960) il Lazio registra, oltre agli spostamenti all'interno della regione, l'insediamento di, rispettivamente, 49.240 e 62.729 persone - dato inferiore solo a quello registrato in Lombardia ed in Piemonte - in maggioranza provenienti dal centro - sud.
Le spiegazioni del fenomeno sono ovvie. Il notevole rafforzamento dell'amministrazione centrale era stato visto nel sud dell'Italia, dove la disoccupazione era elevatissima, come una possibilità di carriera che era stata poi rapidamente sfruttata a fini elettorali, una volta compresane l’importanza. Nel 1954 il 56.3% degli impiegati e funzionari pubblici sono di origine meridionale. Su questo esodo c'è anche l'influenza del mondo dello spettacolo che, reinsediatosi a Roma, rappresenta per molti un Eldorado anche se il fenomeno, comunque limitato, ricopre una reale importanza solo nel mondo della cultura.
Le illusioni e le speranze degli italiani sono anche vittime dell'incertezza del quadro politico data dalla inadeguatezza delle coalizioni governative. La debolezza e fragilità delle maggioranze parlamentari viene compensata dall'intervento dei partiti con un dinamismo che tende a saltare il momento istituzionale. Il Parlamento, infatti, diventa poco a poco solo la cassa di risonanza di decisioni, scelte e alleanze maturate fuori da Montecitorio. Questo processo comporta la occupazione dello stato da parte dei partiti, e della DC in primo luogo, che nel suo processo degenerativo spingerà l'Italia nel baratro della inefficienza. Nasce, insomma, la partitocrazia.
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