Dossier:

L'angelo e lo specchio a cura di Enrico Castronovo

Il mito di Orfeo nel cinema di Jean Cocteau
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La morte, la statua, l'angelo: l'identità orfica


Al di là dei referenti oggettivi che l’angelo nasconde in sé, è comunque chiaro che egli forma con la Morte e la Musa un’unica famiglia, e che il suo ruolo è dunque fondamentale nella nascita della poesia. Cocteau parla spesso di una forza sconosciuta che lo costringe alla produzione artistica, sia essa poetica, cinematografica o altro ancora; questa forza altro non è che l’Angelo. Pensiamo per esempio al Signore Sconosciuto di cui parlano i Sept dialogues, e al tempio dedicato a lui che ha nome Poesia. L’angelo che viene a visitare il poeta si confonde con quella che Cocteau ama chiamare “notte interiore”, e che poco ha a che fare con l’inconscio per come è descritto dagli psicanalisti.

Tout homme est une nuit (abrite une nuit) […], le travail de l’artiste sera de mettre cette nuit en plein jour, et […] cette nuit séculaire procure à l’homme, si limité, une rallonge d’illimité qui le soulage.

La notte interiore è la sede della poesia. Sorta di ghiandola pineale, è una parte di eternità che si nasconde in un corpo mortale, permettendo un legame fra il poeta e l’aldilà. La poesia è tirata fuori dall’angelo che agisce come una levatrice: è frequente in Cocteau l’utilizzo di termini che hanno a che fare col parto quando si parla della realizzazione di un’opera. Se è vero che il poeta rinchiude in sé l’essenza della poesia, che la poesia preesiste alla sua effettiva resa, è però anche vero che perché essa sia rivelata pienamente c’è bisogno di un intervento esterno, è necessario che la poesia riceva uno stimolo proveniente da quello stesso mondo in cui essa trae le sue origini, nonostante sia confinata, come l’anima di Platone, in un corpo che la opprime. Il poeta, la sua coscienza e il suo corpo, non sono che il teatro di un miracolo che lo utilizza spietatamente per i propri fini:

L’inspiration […] n’est qu’expiration, puisqu’il est vrai que le poète reçoit des ordres, mais qu’il les reçoit d’une nuit que les siècles accumulent en sa personne, où il ne peut descendre, qui veut aller à la lumière, et dont il n’est que l’humble véhicule.

Possiamo esemplificare traendo spunto dalle due versioni, teatrale e cinematografica, di Orphée: nella prima, Orfeo riceve i versi che gli causeranno il linciaggio da un misterioso cavallo parlante, venuto non si sa da dove, e che sarà il pretesto per l’approfondimento del suo rapporto con Heurtebise e con la Morte, ovvero con l’altro mondo. Analogamente nel film Orfeo registra i messaggi che sono emessi dall’autoradio della Rolls Royce della principessa, messaggi che provengono direttamente da oltre lo specchio. La radio e il cavallo sono l’elemento esterno di cui abbiamo appena parlato: esterno al poeta ma connaturato, e come suo complice, alla sua notte interiore; camuffato, per potere agire a suo agio, da elemento omogeneo al mondo terreno.
Il poeta ha dunque tutte le carte in regola per potere penetrare nell’altro mondo, di cui risiede nel suo corpo una emanazione. E’ questa la prerogativa del poeta orfico: vivere a cavallo fra due mondi ed essere in fin dei conti estraneo ad entrambi. Nel film Orphée è chiarita l’essenza del rapporto fra il poeta e la morte, di cui la principessa non è che una delle molteplici personificazioni. Orfeo è subito incuriosito da questa donna elegante ed aristocratica, tanto da innamorarsene e da sacrificare per lei il suo rapporto con Euridice. E’ probabilmente in questo che Cocteau si avvicina di più all’interpretazione che fa Maurice Blanchot del mito orfico:

[Orphée] ne veut pas Eurydice dans sa vérité diurne et dans son agrément quotidien, [il] la veut dans son obscurité nocturne, dans son éloignement, avec son corps fermé et son visage scellé, [il] veut la voir, non quand elle est visible, mais quand elle est invisible, et non comme l’intimité d’une vie familière, mais comme l’étrangeté qui exclut toute intimité, non pas la faire vivre, mais avoir vivante en elle la plénitude de sa mort. ..

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