La morte, la statua, l'angelo: l'identità orfica
Essendo ormai chiara l’analogia fra la Statua e la Musa nell’opera poetica, occupiamoci adesso del ruolo fondamentale della Statua nel Sang d’un poète. Interpretata da Lee Miller, compagna di Man Ray, essa svolge il ruolo di guida del Poeta. Alla fine del primo episodio del film, il Poeta risveglia involontariamente la Statua dal suo sonno, poggiando sulle sue labbra la mano destra su cui era apparsa la bocca. Nel secondo episodio la Statua esorta il Poeta a passare attraverso lo specchio: è lei che lo incita ad esplorare il suo mondo interiore, simbolizzato dalle stanze dell’Hôtel des Folies Dramatiques, è grazie al suo invito che la poesia può prendere forma. Ancora una volta, troviamo una corrispondenza fra la funzione della Statua e quella della Musa. Ma il viaggio oltre lo specchio si conclude col primo suicidio del Poeta, di cui la Statua può quindi essere considerata responsabile; di più: la voce che spiega al Poeta la maniera di utilizzare la rivoltella (evidente riferimento, più o meno consapevole, ai suicidi che turbarono Cocteau nella sua giovinezza) è la voce della Statua. Essa è anche l’avversaria del Poeta nella partita a carte del quarto ed ultimo episodio, partita in cui la posta in gioco è la vita. In questo episodio, variazione sul tema topico della partita a scacchi con la morte, la Statua è ancora una volta responsabile della morte del Poeta, che si suicida una seconda volta avendo perso la partita. Se la Statua si rivela anche in questo caso assassina, nelle inquadrature finali del film la vediamo, ritornata di marmo e con le braccia coperte di lunghi guanti neri, fornita dell’accessorio poetico (e più specificamente orfico) per eccellenza: la lira. Ecco esplicitata ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, la coincidenza delle tre identità, Statua, Morte e Musa, in un solo personaggio femminile, esattamente come abbiamo visto in Léone.
E’ adesso necessario prendere in esame il ruolo del personaggio dell’Angelo, anche questo assolutamente centrale nella poetica di Cocteau, e di cui Léone costituisce per certi versi il doppio femminile. L’Angelo appare assai precocemente nell’opera di Cocteau: figure angeliche possono ritrovarsi nel romanzo Le Potomak, del 1914, e lo stesso protagonista di “Visite” può essere considerato un angelo. Ma è nel 1925, anno della stesura della poesia “L’Ange Heurtebise”, inserita poi in Opéra, che appare una figura specifica di angelo, che ha un nome e un ruolo ben precisi. In Opium, Cocteau ricorda:
Il m’arrivait, très intoxiqué, de dormir d’interminables sommeils d’une demi-seconde. Un jour que j’allais voir Picasso, rue La Boétie, je crus, dans l’ascenseur, que je grandissais côte à côte avec je ne sais quoi de terrible et qui serait éternel. Une voix me criait : « Mon nom se trouve sur la plaque ! » Une secousse me réveilla et je lus sur la plaque de cuivre des manettes : ASCENSEUR HEURTEBISE. Je me rappelle que chez Picasso nous parlâmes de miracle […]. Peu après, l’ange Heurtebise me hanta et je commençai le poème. A ma prochaine visite, je regardai la plaque. Elle portait le nom Otis-Pifre ; l’ascenseur avait changé de marque.
Anche in questo caso, come per “Visite”, è possibile parlare di annunciazione: l’angelo, “descendu du ciel des stupéfiants”, si reca spontaneamente presso il poeta e lo sconvolge con la sua presenza, imponendogli la stesura di un poema. Egli appare sotto le spoglie modernissime e per questo insospettabili di un ascensore, allo stesso modo in cui il soprannaturale si presenta ad Orfeo nelle vesti di un cavallo o di un’autoradio, per insinuarsi più agevolmente nel mondo terreno.
Vero e proprio conduttore di energia poetica, l’Angelo di Cocteau ha poco ha che vedere con gli angeli della tradizione cristiana. Nel Secret professionnel Cocteau tiene a chiarire questa differenza:
L’ange se place juste entre l’humain et l’inhumain. C’est un jeune animal éclatant, charmant, vigoureux, qui passe du visible à l’invisible avec les puissants raccourcis d’un plongeur, le tonnerre d’ailes de mille pigeons sauvages. La vitesse du mouvement radieux qui le compose empêche de le voir. […] Beau spécimen de monstre sportif, la mort lui demeure incompréhensible. Il étouffe les vivants et leur arrache l’âme sans s’émouvoir. […]
Nous voici loin des hermaphrodites en sucre, aux mains jointes, portant d’ailes d’or et lys, coiffés d’étoiles.
Come è spiegato in questo passaggio, l’angelo si trova alla frontiera fra il visibile e l’invisibile, è “le premier front accessible de l’inconnu”. Appartenente all’altro mondo, egli è strettamente legato alla Morte e alle Muse, di cui costituisce per certi versi il messaggero o il soldato (“Ange, soldat des neuf sœurs”). Il poeta e l’angelo hanno un rapporto privilegiato proprio per la loro vicinanza, osiamo dire, geografica. Se l’angelo si trova subito oltre lo specchio, il poeta per come è descritto da Cocteau si trova anche lui a costeggiare il limite, ma dalla parte opposta. Tre citazioni tratte dalla poesia, praticamente omologhe, accostano termini del campo semantico della ricerca ossessiva, del pedinamento, ad altri di quello dell’inconoscibile: “Je décalque / L’invisible (invisible à vous)”, “toujours taquinant le vide”, “ce vide que je longe”. Vocaboli affini sono usati da Orfeo che, sia nella pièce che nel film che portano il suo nome, ripete: “Je traque l’inconnu”. L’angelo e il poeta si incontrano nelle brecce aperte lungo il limite, che permettono il passaggio da un mondo all’altro; proprio come il poeta del Sang d’un poète, che mentre spia dal buco di una serratura si accorge di essere spiato a sua volta.
Non devono sfuggire gli attributi carnali, tipicamente virili dell’angelo: egli viene chiamato “garçon bestial”, “lourd / sceptre mâle”, e le situazioni che vengono illustrate nei versi non mancano di richiamare alla mente alcuni riferimenti squisitamente erotici. La cosa è facilmente giustificabile, se si pensa a Heurtebise come ad una sorta di reincarnazione di Raymond Radiguet: nella poesia ci sono due versi che fanno riferimento a Radiguet in maniera abbastanza esplicita. L’angelo viene descritto con “[les] joues en feu”: Les Joues en feu è giustappunto il titolo della raccolta di versi pubblicata da Radiguet nel 1919 presso la casa editrice fondata da Cocteau e Cendrars. Alla fine della stessa strofa, Heurtebise “tombe fusillé par les soldats de Dieu”; quest’espressione era, a detta di Cocteau, la stessa che avrebbe utilizzato Radiguet a proposito della propria morte: pochi giorni prima di morire egli gli avrebbe confidato: “dans trois jours je vais être fusillé par les soldats de Dieu”. Non essendo possibile parlare di coincidenze, crediamo che Heurtebise sia il nome che Radiguet ha preso da morto.
Anche Cégeste, altro angelo di cui parla la poesia in questione, e che ritroveremo a fianco di Heurtebise in Orphée e nel Testament d’Orphée, sembra avere un corrispondente in questo mondo: si tratta di Jean Le Roy. Un verso in cui si dice che Cégeste è stato ucciso in guerra è l’unica prova che abbiamo per giustificare questa identificazione, ma ci sembra sufficiente dato che Le Roy era già stato “angelizzato”, per così dire, nel Discours du grand sommeil. L’Angelo è allora, nell’immaginario di Cocteau, la figura della bellezza post mortem, di quella bellezza pericolosa che aveva contraddistinto Le Roy e Radiguet, e che si trova ad essere la principale caratteristica del personaggio di Dargelos.
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