Dossier:

Federico Fellini: Oltre l'estetica neorealista a cura di Giovanni Scolari

Lo sceicco bianco (1952)
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3.2.5  Sceicchi e angeli

A seguito di queste pressioni i personaggi dei fotoromanzi si cristallizzano in ruoli predefiniti: il protagonista maschile deve essere forte, buono, generoso, una  guida sicura per la sua famiglia che rappresenta il valore assoluto della sua esistenza; la donna invece deve mostrarsi tenera, dolce, materna, il classico "angelo del focolare". Ogni trasgressione alle regole sociali viene punita dalla collera divina che porta poi ad una redenzione sempre dolorosa e sofferta o ad una condanna eterna alla perdizione. A questi canoni si sottomettono Ivan e Wanda diventando essi stessi protagonisti ridicoli di una buffa comica. L'uomo forte che si batte per l'onore dei Cavalli finisce a letto con una prostituta dalle forme abbondanti dopo essere fuggito senza ritegno dal commissariato dove era andato a denunciare la scomparsa della moglie ; Wanda invece tenta il suicidio perché si considera una donna perduta e viene rinchiusa in manicomio come una povera isterica. Su questa farsa spicca il linguaggio asettico, irreale del fumetto. Wanda dopo essersi ripresa dalla sua disavventura, si riavvicina al marito dicendogli: "E' stato il destino avverso... ma sono pura.... Pura e innocente. Ora....  il mio sceicco bianco sei tu". Le espressioni che usa sono ovviamente prese di forza dalle nuvolette dei fotoromanzi, ma rispecchiano esattamente la tipologia della lettrice di questo tipo di periodico emersa da un'inchiesta effettuata parecchi anni dopo, nel 1979. Dall'indagine risulta che molte lettrici trovano il linguaggio utilizzato da queste riviste così realistico al punto di dichiarare che: "A volte leggo i fotoromanzi per sapere cosa dire al mio ragazzo". Questo è certamente un caso estremo, ma non per questo meno significativo, che indica come, nonostante i quasi 30 anni trascorsi dal film, la figura della giovane sposina felliniana sia specchio abbastanza fedele della lettrici di quel tempo.
Nando Rivoli, ultimo lato di questo patetico triangolo amoroso, è espressione di un fenomeno che ha toccato il punto massimo con il neorealismo quando, con il successo delle pellicole di De Sica, Rossellini e Visconti, si era erroneamente ritenuto che gli unici attori credibili fossero i non professionisti per via della loro recitazione spontanea dovuta al fatto che essi "erano" ciò che recitavano. Per questo, in quegli anni,  chiunque poteva sognare di assurgere agli onori della cronaca con un film, credendo così di aver raggiunto il successo.
I casi più clamorosi sono quelli di Lamberto Maggiorani, protagonista di Ladri di biciclette, che dopo un paio di altri tentativi nel mondo del cinema torna a fare l'operaio, e di John Kitzmiller, l'attore di colore protagonista di diverse opere quali Paisà e Senza pietà, che respinto dal cinema, muore pochi anni dopo alcolizzato. Nando Rivoli è dunque la caricatura di un fenomeno che aveva raggiunto dimensioni tali da suggerire a Visconti l'idea di Bellissima (1952), lo splendido film con Anna Magnani nella parte di una madre di borgata desiderosa di far entrare nel mondo dorato del cinematografo la figlia di cinque anni.
Fellini stesso fa sapere allo spettatore chi è in realtà Nando e quale sarà il suo inevitabile destino; quando questi ritorna dalla sua disgraziata gita in barca il regista lo riempie di insulti dicendogli: "Come ti ho creato, ti distruggo. Così torni a fare il barbiere, il garzone del macellaio!"
Alla speranza del cinematografo, di entrare in "arte", si sostituisce presto il desiderio di apparire in televisione diventando ricchi e famosi grazie ai quiz di Mike Bongiorno o ai giochi condotti da personaggi come Tortora, Corrado ecc. Se Nando Rivoli finisce nel dimenticatoio entrano nella memoria di tutti i nomi dei campioni di Lascia o raddoppia.

3.2.6   Trionfo del melodramma

I confini tra fotoromanzo e cinema sono stati, fin dall'inizio, estremamente confusi; i prestiti, i plagi e gli scambi tra l'uno e l'altro settore sono moltissimi. Il fotoromanzo ha preso dal cinema il linguaggio, a volte le ambientazioni, sempre le mode attraverso cui si cercava di carpire il gusto del pubblico. Molti sono i voti noti che hanno utilizzato questo mezzo per lanciarsi nel cinema o per rifiatare dopo un insuccesso. A parte il caso della rubrica, già citata, tenuta da Gina Lollobrigida su Bolero Film, si possono ricordare Sophia Loren, Walter Chiari, Claudia Cardinale, Sandra Milo, Raffaella Carrà, Giuliano Gemma e anche Renzo Arbore all'inizio degli anni '70.
Anche il cinema, però, ha preso più volte spunto dai fumetti. Il caso più clamoroso è la trilogia di Raffaello Matarazzo (Catene 1950, Tormento 1951, I figli di nessuno 1951) che recupera la lezione del fotoromanzo non solo nei temi trattati ma anche nell'uso del titolo. Catene e Tormento sono stati due, infatti, tra i primi fotoromanzi di grande successo, pubblicati entrambi su Bolero Film nel 1947. Queste opere sono la punta dell'iceberg di una produzione in quegli anni estremamente viva grazie alla sapiente guida di alcuni registi di grande mestiere come Costa e Brignone, oltre all'indimenticato Matarazzo.
In una situazione di questo genere era quasi inevitabile il fallimento commerciale dello Sceicco bianco. In una sola volta Fellini era riuscito ad indispettire pubblico, alcuni importanti produttori (Rizzoli era editore di Sogno), oltre che una certa critica come al solito miope e prevenuta.
A dire il vero l'accoglienza degli addetti al lavoro non è molto negativa. Il CCC (Centro cattolico cinematografico) emette un giudizio non troppo pesante dicendo che "il film ha intenti positivi; ma comprende scene con donne in costumi succinti, episodi alquanto scabrosi, battute inopportune, che impongono riserve. il tentativo di suicidio è da non prendere sul serio. La visione è ammessa solo per adulti di piena maturità morale". Vittorio Bonicelli, critico del Tempo, dice: "...bisogna rimproverare di non avere creduto abbastanza nelle possibilità che ha l'azione comica di esprimere il senso tragico o patetico della vita. Ma neppure tutto questo riesce a liquidare un film come Lo sceicco bianco [...] E' un buon film, forse anche un ottimo film...".
Altri giudizi positivi sono espressi da Giulio Cesare Castello per Cinema - "un bilancio più che positivo, per una prima prova registica" - e da Callisto Cosulich "il primo film anarchico italiano". Non mancano però delle stroncature terribili oltre ai dubbi espressi da autorevoli personaggi come Guido Aristarco. Nino Ghelli, recensore per la rivista Bianco e nero, anticipa le roventi polemiche che poi contraddistingueranno le pellicole felliniane del decennio con un giudizio impietoso. Egli, dunque, dice "film talmente scadente per grossolanità di gusto, per deficienze narrative, per convenzionalità di costruzione, da rendere legittimo il dubbio se tale prova di Fellini regista debba considerarsi senza appello [...] E' ovvio che non può essere sufficiente la macchiettistica e superficiale descrizione di alcuni personaggi più o meno coerenti e credibili, e inquadrati in un ambiente superficialmente descritto, per rappresentare un mondo che dovrebbe essere indicativo addirittura di un momento storico, o almeno di un costume."
La critica fa seguito alla proiezione al festival di Venezia del 1952, manifestazione a cui era stato iscritto  Lo sceicco bianco dopo la sua inopinata e ingiustificata esclusione all'ultimo momento dal concorso di Cannes dove fu sostituito da Guardie e ladri di Monicelli.
L'uscita viene così rimandata alla manifestazione lagunare dove il film passa praticamente inosservato. Fellini ricorda che nei giorni successivi alla proiezione si sentiva lapidato dalla critica e le parole di chi lo aveva difeso erano "sommerse da un torrente di insulti e di malvagità. - aggiungendo poi - Quel film fu distrutto, fu negata la sua stessa esistenza."
Fellini addebita l'insuccesso subito dallo Sceicco bianco all'atteggiamento della critica e al fallimento della casa che si doveva occupare della distribuzione della pellicola. Ma come abbiamo detto le recensioni non erano state poi tutte così negative; forse è possibile ipotizzare che pochi abbiano voluto difendere il film per la posizione scomoda che l'autore aveva assunto. In un momento in cui il  neorealismo era considerata come la Bibbia, Fellini e Pinelli presentavano, infatti, un'opera che, nelle loro intenzioni, doveva essere una commedia surreale in cui si rideva e si sorrideva della famiglia intesa come istituzione sacra ed inviolabile, ponendosi così nella condizione di essere attaccato da entrambi gli schieramenti che si erano nel frattempo coalizzati nell'attacco al cinema non schierato di Fellini.
In ogni modo il risultato finale è un disastro assoluto al botteghino. I pochi dati a disposizione ci dicono che  Lo sceicco bianco ha incassato al 31 agosto 1953 solo 33.700.000 piazzandosi al 140° posto nella classifica della stagione 1952/53  delle pellicole italiane. Alla stessa data hanno reso dieci  volte di più films come Il cappotto (427 milioni e 14° posto) di Lattuada, Il brigante di Tacca del Lupo (378 e 21esima piazza) e Processo alla città (364 e 22°) sempre di Germi, Stazione Termini (343 e 27°) di De Sica,  Europa 51 (223 milioni e 34°) e La signora senza camelie (137 milioni e 91esimo classificato). In quella stagione  il campione d'incassi per il cinema italiano è Puccini  di Carmine Gallone che raggiunge quota 763 milioni precedendo di poche migliaia di lire un altro film di ambientazione musicale: Canzoni di mezzo secolo di Domenico Paolella.
Mentre la carriera di regista di Fellini sembrava già finita, imperavano sugli schermi i melodrammi alla Matarazzo e si affermava sempre più impetuosamente la commedia all'italiana con i soliti noti (Totò, Fabrizi ecc.). Fellini, invece di adeguarsi, pensa di realizzare la storia di una coppia di girovaghi e la propone a diversi produttori ottenendo sempre rifiuti. I suoi insuccessi non invogliano ad investire in opere insolite, le vicende dei due vagabondi vengono così per il momento accantonate per essere utilizzate successivamente, quando il soggetto si trasformerà ne La strada. Un produttore, Pegoraro, si rende disponibile per produrre un film dell'autore romagnolo a condizione che si tratti di una commedia, genere più facilmente digeribile. Nascono così I vitelloni.


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