Jean Cocteau e il cinematografo
Ma se il cinema possiede questa prerogativa, nondimeno gode della possibilità di dominare lo spazio-tempo, permettendo di piegarlo in tutto e per tutto ai propri fini. Se i film di Cocteau, almeno quelli che prendiamo in considerazione in questa sede, mostrano avvenimenti che si svolgono al di fuori, o parallelamente, alle coordinate spazio-temporali vigenti, ciò è possibile soprattutto grazie a certe caratteristiche del mezzo filmico.
Un film est entier dans une boîte, il existe, il préexiste. L’appareil de projection vous le déroule comme font le temps et l’espace lesquels, bizarrement mêlés ensemble, ne nous permettent que de vivre peu à peu, seconde par seconde, des épisodes qui doivent se produire en bloc.
Questa affermazione, se da un lato instaura un parallelismo fra la vita reale, frammentata in secondi e centimetri, e la “vie seconde” costituita dal film, in cui sia la vita dei personaggi che la ricezione di essa da parte dello spettatore si svolgono alla velocità di ventiquattro immagini al secondo, dall’altro pone l’accento sul fatto che un film esiste anche al di fuori del momento in cui è proiettato sullo schermo, e continua ad avere luogo all’esterno delle nostre coscienze, in un altro spazio-tempo. Così il film gode, un po’ alla maniera orfica, della facoltà di attraversare i mondi, di apparire proiettato su uno schermo o continuare la sua vita in un universo differente dal nostro. Appare dunque chiaro come il cinema sia per Cocteau anche (o soprattutto?) “mécanisme résurrectionnel” e “machine à ressusciter des ombres”. Questa è una caratteristica del film come medium, del film ultimato e pronto per la distribuzione, ma la possibilità di sconvolgere le direttive spazio-temporali esiste anche a monte, in fase di riprese e montaggio:
Il est rare que les chambres communicantes soient construites sur le même plateau et rare qu’un intérieur corresponde à l’extérieur sur lequel il donne. Rare qu’on tourne dans l’ordre. […] Cet emploi des deux dimensions, au cinématographe, en exprime plus que trois, puisqu’il bouleverse le temps qui est une dimension et que l’on pourrait dire sans ridicule qu’il travaille dans la quatrième.
Il film, pur sacrificando la dimensione della profondità alla bidimensionalità dello spazio di proiezione, ne acquista altre due grazie allo squarcio operato dal montaggio all’interno della continuità spazio-temporale. E’ questo uno dei motivi che hanno spinto Cocteau ad utilizzare il mezzo cinematografico per esprimere il suo universo.
In un cinema nutrito, come abbiamo visto, dalla volontà di “montrer l’irréel avec l’évidence du réalisme”, acquistano grande importanza gli effetti speciali, che Cocteau preferisce chiamare “trucs” o “trucages”. In effetti la conciliazione del realismo cinematografico con la volontà di mostrare l’invisibile appare problematica:
Il s’agissait d’user de trucs, de telle sorte que ces trucs ressemblassent aux chiffres des poètes, ne tombassent jamais dans le visible (c’est-à-dire dans une inélégance) et apparussent comme une réalité, ou, mieux, comme une vérité aux spectateurs. […] Cela m’obligeait à vaincre les facilités que donne le cinématographe dans l’ordre du merveilleux, à rendre ce merveilleux direct, à n’employer jamais le laboratoire et à ne prendre dans la boîte pour ce que je voyais et voulais faire voir aux autres.
La questione è risolta: lo spettatore non vedrà niente che non avranno visto tutti quelli che hanno assistito alle riprese, niente che non sia stato fedelmente registrato dalla macchina da presa. Cocteau si è sempre rifiutato di ricorrere alla modificazione della pellicola in laboratorio, e se ha mostrato sullo schermo un uomo che passa attraverso uno specchio è stato perché un attore è effettivamente passato attraverso una superficie riflettente che poi, sotto la suggestione dell’ipnosi collettiva, è stata scambiata per uno specchio. Naturalmente Cocteau non può esimersi dal citare Méliès, che per primo ha utilizzato la macchina da presa per mostrare ciò che non esiste, all’esatto opposto degli scopi documentaristici di Lumière. Ecco cosa significa “merveilleux direct”: un irreale presentato con tutta l’evidenza della realtà, che si è svolto nella realtà e come realtà vuole essere percepito. I trucages svolgono l’importantissima funzione di attuare le potenzialità filmiche appena individuate, di rendere cioè reale l’irreale (o viceversa), e di “rompre avec des habitudes et des servitudes d’espace-temps”.
In questi trucchi, che appaiono decisamente ingenui nell’attuale era del digitale, risiede a mio vedere uno dei principali pregi di questo cinema: essi permettono di far sorgere la poesia senza però chiamarla in causa, senza cercarla. Essi incarnano la volontà di Cocteau di lasciarsi “attaquer par embuscade” dalla Poesia; perché quando si rincorre la poesia, l’unica cosa che si ottiene è il poetico, o tutt’al più il pittoresco. Sappiamo che Cocteau ha in orrore
le pittoresque, la fantaisie, les symboles, toutes ces vieilles planches de salut auxquelles le public s’accroche pour peu qu’il tombe de son confort quotidien dans l’océan des choses qui le dérangent, et qu’il évite par crainte de couler à pic. Il n’y a de beau que le naufrage, que la désobéissance aux règles mortes, que l’accident, que les fautes, si l’homme est assez fort pour les sanctifier et les rendre exemplaires. Une faute cesse d’être une faute si le fauteur change en ce que Baudelaire appelait « l’expression la plus récente de la Beauté ».
Saper sfruttare gli errori a proprio vantaggio, ecco un’altra caratteristica di Cocteau regista. Moltissime volte incontriamo fra le sue dichiarazioni di poetica l’aneddoto che riguarda la ripresa della sequenza finale del film Les Parents terribles, in cui un binario montato male fa traballare la telecamera durante un travelling; invece di rifare la scena, Cocteau preferisce mantenerla aggiungendo una didascalia che paragona la casa in cui si svolge la storia ad una roulotte di zingari. O ancora quello a proposito del Sang d’un poète, in cui la polvere sollevata da alcuni operai che spazzavano lo studio accanto a quello in cui si svolgevano le riprese conferisce alla scena una fotografia lunare perfettamente coerente con le tonalità generali del film.
Un’ultima considerazione: Cocteau insiste spesso sull’aspetto voyeuristico del cinema. Se il poeta-cineasta con i suoi film non fa altro che mettere in piena luce la propria interiorità più intima, la telecamera diventa allora “le pire appareil d’indiscrétion”, e l’arte cinematografica “un art de trous de serrures”. Come non pensare alla sequenza del Sang in cui il poeta spia i clienti dell’ Hôtel des Folies Dramatiques dalle serrature delle porte? Tanto più che tutto il film sarebbe stato visto, nientemeno che da Freud, come “un homme que l’on regarde faire sa toilette par un trou de serrure”. Questa parte del film potrebbe essere interpretata senza forzature, alla luce delle dichiarazioni successive, come una metafora del mestiere stesso di regista. Ma l’affermazione di Cocteau va intesa in maniera più ampia: ogni tipo di film è indiscreto, ogni spettatore è un voyeur, se è vero che “tout grand artiste, même s’il peint des volets ou des pivoines, trace toujours son propre portrait”.
Continuiamo la nostra esposizione, che non ha alcuna pretesa di esaustività, delle idee di Cocteau sul cinema, focalizzando però adesso la nostra attenzione sugli aspetti più tecnici della sua riflessione. Cominciamo con l’osservare che Cocteau ha sempre rifiutato la denominazione di cineasta.
Il m’est difficile d’envisager le cinématographe sous l’angle industriel, car ce n’est pas mon métier propre. Le cinématographe m’est un moyen d’expression comme un autre. C’est un art. Un très grand art. Peut être le seul art du peuple. En ce qui me concerne, c’est une encre de lumière avec laquelle j’ai le droit d’écrire ce que je veux.
Il cinema è un mezzo d’espressione come un altro all’interno della differenziatissima produzione cocteliana, che permette di mostrare invece che descrivere, e di dire cose difficili da dire con un testo o con un’immagine statica. E’ però anche vero che esso è “l’arme des poètes par excellence”, che riesce, grazie all’utilizzo dei trucages che abbiamo illustrato sopra, ad emanciparsi dal suo ruolo documentario e a diventare il mezzo d’espressione della “notte interiore”. Inoltre, come lo stesso Cocteau osserva, un regista di professione è costretto a girare un film dopo l’altro inseguito dalle leggi inesorabili della produzione, mentre un poeta-cineasta può permettersi, come lui stesso ha fatto, di esprimersi attraverso un film ogni dieci anni.
Essendo poi “le refuge de l’artisanat”, il cinema diventa “le moyen de remuer une considérable charge de travail manuel que je transporte et que l’écriture m’empêche de mettre en œuvre”. Esso, classificabile da Cocteau come poesia plastica, rientra nel campo di quelle arti “meccaniche” che richiedono un’apparecchiatura specifica e una certa dose di sforzo fisico. E’ inoltre la sola arte che si pratica, in un certo senso, in gruppo: impossibile portare a termine la realizzazione di un film
sans un groupe de techniciens et d’ouvriers qui fait objectif le subjectif et représente en quelque sorte une entreprise d’archéologues, une équipe de fouilleurs grâce à laquelle un homme arrive à sortir un objet de sa nuit.
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