Jean Cocteau e il cinematografo
Passiamo adesso a prendere in considerazione alcuni degli aspetti fondamentali dell’estetica cinematografica cocteliana. Uno dei riferimenti che più frequentemente si incontrano scorrendo i suoi scritti sul cinema è quello all’ambito dell’onirismo, insieme a rimandi all’ipnosi e alla palingenesi infantile. Ma procediamo con ordine: cinema e sogno. Per quanto i rapporti di Cocteau con Breton e i Surrealisti fossero burrascosi sul piano umano ma praticamente nulli su quello più specificamente estetico, dobbiamo riconoscere che la parentela fra esperienza filmica ed esperienza onirica fu parte integrante della prima fase surrealista. Ma mentre per i Surrealisti detta parentela era riscontrabile soprattutto dal punto di vista della fruizione, per Cocteau essa era valida sia per la fase della fruizione che per quella della creazione; inoltre, si sa che i Surrealisti abbandonarono questa posizione poco tempo dopo la stesura del secondo manifesto, dove invece Cocteau prenderà il sogno come punto di riferimento per la sua poetica fino al suo ultimo lavoro cinematografico.
Più vicine alla poetica surrealista ci appaiono le dichiarazioni di Cocteau che si riferiscono al punto di vista spettatoriale:
Un film n’est pas un rêve qu’on raconte, mais un rêve que nous rêvons tous ensemble en vertu d’une sorte d’hypnose, et le moindre défaut du mécanisme réveille le dormeur et le désintéresse d’un sommeil qui cesse d’être le sien.
Par rêve, j’entends une succession d’actes réels qui s’enchaînent avec l’absurdité magnifique du rêve puisque ceux qui y assistent ne les eussent pas enchaînés de la même manière, ne les eussent pas imaginés, et les subissent, dans leur fauteuil, comme ils subissent, dans leur lit, des aventures étranges dont ils ne sont pas responsables…
Bisogna precisare che questa affermazione risale al 1949, e tiene conto dunque non soltanto del Sang d’un poète, per il quale può essere più facile parlare di onirismo, ma anche di lavori più maturi come La Belle et la Bête e L’Eternel retour. E’ chiaro come il parallelismo cinema-sogno sia quindi da riferirsi non tanto, come per i Surrealisti, ad una precisa maniera di fare cinema, quanto piuttosto alla situazione comunicativa del mezzo filmico tout court. Cocteau si riferisce qui alla condizione psicologica di un insieme di persone riunite in una stanza buia, costrette al silenzio e alla semi-immobilità, e poste di fronte ad una successione di immagini; aspetto da non sottovalutare, queste immagini si distinguono da quelle offerte da una visione “normale” per la mancanza, fra le altre, di colore e rilievo.
Se il riferimento al sogno può apparire dunque scontato e banale, va ricordato che lo stesso riferimento è presente quando si parla non più della ricezione del film, ma della sua stessa creazione:
Le travail d’un film tel que je l’entends (…) est si compact et vous enfonce si loin du monde et de ses habitudes, qu’il ressemble au rêve, en ce sens que seuls comptent les gens et les actes du rêve et qu’on en arrive à ne plus voir ni entendre ce qui se passe au dehors, comme un dormeur est trop occupé par la vie du rêve pour s’apercevoir que la vie réelle entre dans sa chambre sous forme de journaux, de lettres, d’amis.
Lo statuto sonnambolico entra a far parte del momento creativo, che risulta così perfettamente simmetrico a quello fruitivo: il lavoro del regista sul set si apparenta al sogno in quanto si trova a cavallo fra due mondi, quello della vita quotidiana e quello della finzione che si vede sorgere di fronte allo sguardo ricettivo delle macchine da presa; frutto di questo “état de demi-conscience” è il film, recepito da uno spettatore, dimidiato come il regista fra una vita reale e una immaginata. La condizione creativa sonnambolica non riguarda però in Cocteau solamente la direzione di un film, ma ogni tipo di produzione artistica; ci riserviamo di approfondire più in là questo aspetto, che rimanda direttamente al problema dell’identità orfica del poeta.
Se la questione del cinema come sogno è legata al contemporaneo movimento surrealista, quella, tematicamente vicina, del cinema come ipnosi si inserisce in un contesto ideologico più spiccatamente cinematografico, in cui certi teorici arrivano a parlare della capacità, insita nel film, di modificazione delle coscienze. Se le teorizzazioni di Cocteau al riguardo rimangono piuttosto al di qua di certi parossismi, è comunque vero che secondo lui il raggiungimento, in occasione di una visione cinematografica, di una situazione paragonabile ad una seduta di ipnosi collettiva è necessario per la trasmissione dell’essenza artistica del film, per la sua corretta ricezione. In realtà uno standard di ricezione non esiste, e siamo alla classica metafora cocteliana del falegname che costruisce un tavolino senza preoccuparsi se esso sarà utilizzato per una seduta spiritica, e di quello che diranno gli spiriti. L’ipnosi collettiva implica però l’assoluta fiducia dello spettatore nelle immagini, anche contro la sua stessa volontà, e lo slancio interpretativo che, nel bene e nel male, ne consegue. Fiducia che è richiesta anche nei tecnici e negli attori che, spesso inconsapevoli del loro lavoro in fase di ripresa, si rendono conto solamente al momento delle proiezioni di cosa effettivamente hanno girato.
L’ipnosi ha dunque uno scopo fondamentale: indurre lo spettatore ad un ritorno all’ingenuità infantile: “si on obtient l’hypnose collective, la salle devient un enfant”, solo allora sarà dunque possibile la comunicazione intima fra l’artista e il suo pubblico. Il ritorno all’infanzia ha inoltre una funzione importante nell’orientamento del gusto del pubblico:
Si le public s’exerce à perdre ses facultés d’enfance, s’il se veut une grande personne incrédule incapable de se glisser jusqu’à cette zone où les irréalités sont admises comme évidentes, s’il s’efforce de se raidir contre l’euphorie qu’on lui offre, s’il se moque des choses qui le dépassent au lieu de chercher à se hausser jusqu’à elles, bref, s’il joue les esprits forts en face des mystères du culte de l’art, je ne m’étonne plus qu’on se plaigne de ce que les producteurs penchent à n’entreprendre que des films d’une vulgarité funeste.
Questa affermazione è da inserire in una più ampia rete di lamentele sulle condizioni della produzione cinematografica di cui renderemo conto più avanti. Resta il fatto che complice dei produttori rimane un pubblico che va al cinema per ricevere conferma delle proprie certezze, e non per lasciare che un regista le metta in discussione; un pubblico che, per riprendere un’espressione del nostro autore, ricerca l’evasione invece di lasciare che la propria anima sia invasa “par des termes ou des objets qui, ne présentant pas un aspect ailé, l’obligent à s’enfoncer en elle-même”. Introspezione ancora una volta perfettamente parallela a quella operata dall’artista: il sogno, l’ipnosi, il ritorno all’infanzia, sono altrettante fasi che il poeta-regista deve attraversare per portare alla luce la propria interiorità.
Richieste di questo tipo non sono anodine, proferite da un regista la cui produzione è ascrivibile, salvo poche eccezioni, al genere fantastico. Cocteau si è spesso posto il problema di come affrontare la questione della resa obiettiva di un universo assolutamente personale e lontano quanto mai dalle coordinate della vita reale. Uno dei privilegi del cinematografo è quello di essere “un véritable véhicule de poésie, en ce sens qu’il permet de montrer l’irréalité avec un réalisme qui oblige le spectateur à y croire” ; è dunque grazie ai mezzi quanto mai obiettivi del cinema che un autore può proporre al pubblico la rappresentazione di un universo che segue regole differenti da quelle a cui siamo abituati. E questo è un punto a favore nei confronti, per esempio, della letteratura, dato che “tout film est réaliste, puisqu’il montre les choses au lieu de les suggérer par un texte”. Il fatto che il film, grazie all’obiettività della macchina da presa, sia comunque un veicolo di realismo non conferisce per questo assoluta libertà al regista, al contrario:
L’irréel possède des lois encore plus rigoureuses que le réalisme, car le réalisme est aidé par l’habitude et l’irréel exige, par son caractère insolite, une extrême précision dans le détail.
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