Jean Cocteau e il cinematografo
La scoperta del cinema da parte di Cocteau sembra avvenire in maniera del tutto casuale. Ad aiutare il caso furono i visconti di Noailles, eccentrici e ricchissimi aristocratici interessati a quello che già allora si cominciava a chiamare cinema d’avanguardia, che onoravano ancora negli anni ’20 la tradizione del salone letterario, convocando nelle loro lussuose dimore a Parigi e in provincia artisti di ogni campo e proponendosi come sovvenzionatori di opere d’arte innovative. Charles de Noailles ricorda:
Nous aimions faire des petits films que nous montrions à nos amis, après le dîner. C’était amusant. Nous invitions toujours trente-six personnes parce que nous avions trente-six fauteuils. Nous avions un salon au premier pour projeter les films, ou, quelquefois, nous louions une salle comme le théâtre des Ursulines […], ou un studio (le Studio 28).
Ci sembra che la coppia di mecenati non fosse del tutto ignara del suo ruolo, se sceglieva per le sue proiezioni due santuari del cinema d’avanguardia, uno dei quali era teatro, proprio in quegli anni, della rissa scatenata dal film di Germaine Dulac e Antonin Artaud, La Coquille et le clergyman.
E’ appena il caso di dire che Cocteau figurava fra gli invitati fissi di quelle riunioni, e che aveva assistito, nel luglio del 1929, alla proiezione privata del frutto del primo sodalizio fra Buñuel e Dalí, Un chien andalou. Presso i Noailles si trovava, alla fine dello stesso anno, quando il suo amico musicista Georges Auric espresse il desiderio di comporre una partitura che sarebbe servita da colonna sonora ad un cartone animato; la viscontessa si mostrò interessata alla cosa, e propose a Cocteau la stesura di un soggetto da affidare ad un disegnatore per la realizzazione di un film d’animazione. Cocteau non era estraneo a questo tipo di attività, anzi era proprio con la stesura del soggetto del balletto Parade che si era imposto dodici anni prima sulla scena artistica della capitale; e naturalmente non si lasciò sfuggire l’occasione di una collaborazione con Auric finanziata dai Noailles.
Dopo pochi mesi il progetto sembrò abortire: la produzione di un cartone animato richiedeva una preparazione tecnica difficilmente reperibile in Europa, ma Cocteau non si dette per vinto, proponendosi ai suoi produttori come regista di
un film aussi libre qu’un dessin animé, en choisissant des visages et des lieux qui correspondissent à la liberté où se trouve un dessinateur inventant un monde qui lui est propre.
Così, nel febbraio 1930, Cocteau e Auric si vedono consegnato fra le mani un assegno di un milione di franchi-oro che servirà a finanziare le riprese del primo film di Cocteau, inizialmente intitolato La Vie d’un poète. E’ dunque fra mondanità aristocratica ed avanguardia che si celebra il debutto alla regia di un poeta che non sospetta benché minimamente di essere destinato a presiedere, dopo 23 anni e per ben tre volte, la giuria del Festival di Cannes.
Siamo convinti che questo debutto ci sarebbe stato anche senza il patrocinio dei Noailles e senza la boutade di Auric. Certo, Cocteau non fu l’unico letterato, fra i suoi contemporanei, ad avvicinarsi con curiosità ad una novità tanto promettente quanto il cinematografo; ma in più, nell’opera di Cocteau che precede le riprese del Sang d’un poète è possibile riscontrare le tracce, se non proprio di una vocazione cinematografica, almeno di un vivissimo interesse per quel nuovo mezzo espressivo di cui in quegli anni si indagavano con accanimento le potenzialità artistiche.
La prima testimonianza risale all’aprile del 1919. In un articolo del Paris-Midi Cocteau esalta le possibilità espressive del cinematografo, dando grande rilievo alla centralità del montaggio e del découpage:
Les faits se succèdent, s’emboîtent, se superposent, chassent le texte. L’action simultanée nous transporte d’un bout du monde à l’autre, restitue à un détail, en le grossissant à la loupe, sa véritable place dans le scénario, fait intervenir une main, un pied, comme des personnages…
Arriva addirittura a mettere in gioco una delle figure topiche della sua “automitografia”: “Grâce à d’habiles éclairages, les acteurs du cinématographe sont de véritables statues mouvantes.”. Nello stesso articolo esprime per la prima volta la sua grande ammirazione per Chaplin, che non farà che crescere durante gli anni.
In una poesia pubblicata nel 1920 saluta il cinematografo come decima musa, inventando un’espressione destinata ad avere grande successo fino ai giorni nostri. Ma è a partire dal 1923 che l’interesse per il cinema si fa più pressante, insinuandosi esplicitamente nell’opera letteraria di Cocteau. Fondamentali sono due passaggi del romanzo Le grand écart, pubblicato appunto nel 1923, dove il cinematografo è citato esplicitamente in due punti topici del romanzo, cioè nell’incipit e nella scena in cui Jacques, il protagonista, si rende conto di essere innamorato di Germaine. Citiamo le prime righe del romanzo:
Jacques Forestier pleurait vite. Le cinématographe, la mauvaise musique, un feuilleton, lui tiraient des larmes. Il ne confondait pas ces fausses preuves du cœur avec les larmes profondes
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