Dossier:

L'angelo e lo specchio a cura di Enrico Castronovo

Il mito di Orfeo nel cinema di Jean Cocteau
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Jean Cocteau e il cinematografo

L’accostamento del cinema alla musica di intrattenimento e al romanzo d’appendice può a prima vista apparire riduttivo; ma bisogna notare che Cocteau, pur avendo dato fiducia sin dai suoi esordi al cinema come medium artistico, si è sempre mostrato attratto dal suo aspetto popolare, demotico, preferendo Méliès, Buster Keaton e Harry Langdon alle pretenziose e sulfuree produzioni della Film d’art. Nel secondo passaggio, in cui si può scegliere di cogliere una vaga ironia, la scena di un incontro con Germaine è presentata come una vera e propria sequenza filmica:

Aussi vite que sur l’écran du cinématographe se succèdent une femme petite parmi des groupes et le visage de cette femme en premier plan, six fois grandeur nature, le visage de Germaine remplissait le monde, obstruait l’avenir, masquait à Jacques, non seulement ses examens et ses camarades, mais sa mère, son père, son propre individu. La nuit régnait autour.

In questo passo, non solo viene descritto un tipico procedimento di montaggio, cioè il passaggio da un piano lungo ad un primo piano, ma viene inoltre posto l’accento sull’oscurità della sala cinematografica e sul suo potere ipnotico ed alienante. Appare dunque chiaro come in questo 1923 Cocteau da mero spettatore diventi, se non proprio teorico del cinema, almeno cinéphile, dimostrandosi attento al dibattito sul montaggio e sullo statuto dello spettatore cinematografico che proprio in quel momento, e specialmente in Francia, andava sviluppandosi.
Altra testimonianza dell’interesse per le contemporanee teorie sul cinema è un articolo apparso, sempre nel 1923, nelle Nouvelles littéraires. In quanto uomo di teatro, c’era da aspettarsi che prima o poi Cocteau avrebbe detto la sua sui rapporti fra teatro e cinema; ma ci sembra che in questo articolo faccia molto di più, una vera e propria scelta di campo. Intanto si schiera apertamente a favore di Méliès contro Lumière, invitando i cineasti a “renoncer à tout ce qui existe et travailler non pas à monter un film – même curieux – mais à inventer des lentilles, des ralentisseurs, des appareils mobiles”. Come non leggere in queste parole un annuncio profetico dei trucages che avrebbero di lì a poco caratterizzato Le Sang d’un poète ? Ma ancora, nello stesso articolo, Cocteau si dimostra ostile al probabile avvento del colore, schierandosi così, atteggiamento tipico delle avanguardie francesi, a favore della teoria dei fattori differenzianti. Ormai il passo è compiuto: un artista come Cocteau impaziente di sperimentare forme espressive sempre nuove, non può che essere solleticato dall’idea di prendere posto dietro alla cinepresa, di utilizzare “l’inchiostro di luce”.
Non è chiaro se fu nel 1925 o nel 1927 che Cocteau si fece prestare l’apparecchiatura cinematografica da un amico per girare un cortometraggio in 16 mm allo Studio des Cigognes. Esiste dunque un primo approccio effettivo alla cinepresa prima del Sang d’un poète. Purtroppo non ci è dato di sapere molto su questa prima esperienza: l’unica copia esistente sembra essere perduta, e disponiamo solamente di qualche rara testimonianza dell’autore, sparsa nelle sue dichiarazioni sul cinema. Alcuni particolari richiamano però la nostra attenzione. Si è trattato di un esperimento del tutto informale, svoltosi fra amici e senza nessuno scopo commerciale: un esperimento svoltosi in assoluta libertà, quella stessa libertà di cui Cocteau ha goduto per le riprese del suo primo film conosciuto, e che sempre in seguito rimpiangerà e rivendicherà per i giovani cineasti. Film di questo stesso tipo, Cocteau si divertirà a girarne anche quando sarà un regista affermato, armandosi di una macchina da presa ed improvvisando dei soggetti e delle inquadrature durante i fine settimana in campagna con gli amici. Altro particolare di rilievo, il film avrebbe dovuto intitolarsi Jean Cocteau fait du cinéma: evidente riferimento-omaggio ai titoli dei primi film di Charlot. Inoltre Cocteau ci informa che gli attori erano vestiti con dei lenzuoli bagnati drappeggiati attorno al corpo: stesso “costume” utilizzato per la scena del primo suicidio del poeta nel Sang. Insomma, questa esperienza aurorale di Cocteau regista ci sembra, per quel poco che ne sappiamo, non priva di legami evidenti con la sua produzione cinematografica a venire, e con la sua estetica filmica in generale.
Veniamo ora ad un’opera molto importante per comprendere appieno l’universo letterario e mitico di Cocteau, e interessantissima per chi come noi ricerca i prodromi di una vocazione cinematografica nell’opera del poeta. Concepito come diario di una cura di disintossicazione a Saint-Cloud, Opium è stato scritto nei primi mesi del 1929 e pubblicato l’anno successivo; la sua stesura è dunque immediatamente precedente l’avventura del Sang d’un poète. In questo testo è possibile trovare moltissimi riferimenti al cinema, fra cui vale la pena di citare i più significativi, in ordine di apparizione. Il primo passaggio da citare si pone all’interno di una riflessione sulla velocità; la questione della relatività della velocità e dello spazio-tempo, già abbordata in Opium, sarà esplicitata soprattutto nel Journal d’un inconnu (1953) a livello teorico, ed a livello pratico nei film di cui ci stiamo occupando, in particolare negli ultimi due.

Il n’est pas impossible que le cinéma puisse un jour filmer l’invisible, le rendre visible, le ramener à notre rythme, comme il ramène à notre rythme la gesticulation des fleurs.

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