Dossier:

L'angelo e lo specchio a cura di Enrico Castronovo

Il mito di Orfeo nel cinema di Jean Cocteau
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Jean Cocteau e il cinematografo

histoire qui se désintègre à l’écran.

Se Cocteau ci ha lasciato pochissime dichiarazioni riguardo all’adattamento, è chiaro però che un film deve per lui essere quanto più possibile indipendente dall’opera di partenza, soprattutto dal punto di vista espressivo. Se questa affermazione ci sembra oggi banale, dobbiamo tenere conto del fatto che la questione dell’adattamento cinematografico è stata chiarita, e neanche definitivamente, solo dai critici militanti della Nouvelle Vague, e in modo particolare da François Truffaut.
A conclusione di questo capitolo vogliamo giustificare, almeno in parte, ciò che è stato detto nell’introduzione riguardo ad una possibile filiazione dalla prima avanguardia alla Nouvelle Vague che passi per Cocteau. Tralasciando alcuni aspetti a cui si è già accennato, quali il rapporto fra cinema e sogno, la priorità dell’immagine e alcune idee sul montaggio, aspetti che comunque non lasciano dubbi riguardo ad un riferimento quasi costante alla scuola impressionista, riportiamo due passaggi di una chiarezza probante:

Le souci principal d’un des poètes de l’écran sera, il me semble, de choisir ses interprètes d’après la fraîcheur qu’ils portent en eux, car le cinématographe enregistre les qualités secrètes. Il est impossible qu’un artiste nous donne le change sous l’implacable douche de lumière qui ne se contente pas de statufier le mouvement, mais encore les forces qui se dégagent de l’être.

La beauté d’âme, que l’appareil enregistre comme toutes les autres vibrations (la preuve en est dans la différence entre un édifice photographié et un édifice cinématographié) est à mes yeux plus importante qu’un beau physique.

Qui Cocteau riprende, senza nominarlo e forse non del tutto consapevolmente, il concetto tipicamente delluchiano di fotogenia. Dato che questo concetto, entrato nel linguaggio corrente sotto un’accezione attenuata e banalizzata, non ha avuto grande successo nella teoria cinematografica al di fuori dell’avanguardia impressionista, la sua ripresa in un contesto cronologico ad esso del tutto estraneo ci sembra definitivamente sintomatico di una filiazione diretta.
Per quanto riguarda invece la Nouvelle Vague, sorvolando ancora su quanto già accennato e sui rapporti umani intercorsi fra Cocteau ed alcuni dei suoi esponenti, il nostro autore sembra anticipare, anche se di pochi anni, su alcuni futuri capisaldi delle poetiche anti-accademiche degli anni Cinquanta. La prima anticipazione riguarda la famosa politique des auteurs, polemica che imperverserà a lungo sulle pagine dei Cahiers du cinéma:

Il est exact de dire que l’auteur d’un film est le metteur en scène. Tout lui appartient. C’est parce que j’ai voulu être le véritable auteur de La Belle et la Bête que j’en ai fait la mise en scène.

Cocteau non ha mai rivendicato la paternità dei film a cui ha collaborato come sceneggiatore, per quanto la sua impronta, specialmente nel caso dell’Eternel retour di Delannoy, sia più che evidente. Il secondo punto:

Il importe que la caméra devienne un stylographe et que chacun puisse traduire son âme dans le style visuel.

Più che di anticipazione, ci pare che si possa parlare in questo caso di un vero e proprio passaggio di testimone: il concetto di caméra-stylo, argomento tipico della poetica di Alexandre Astruc e poi ripreso da Truffaut, era già stato messo in gioco da Germaine Dulac. Detto questo, il passaggio da Cocteau nel collegamento diacronico fra impressionismo e Nouvelle Vague ci sembra obbligato.
Vogliamo concludere con un’ultima citazione che non necessita commento; espressa nel 1952, questa dichiarazione di fiducia e di speranza nei confronti di colleghi più giovani da parte di un regista della vecchia guardia, spesso deluso da certi aspetti del proprio mestiere, ha qualcosa di profetico:

Le cinématographe est devenu une sorte de gang, et je ne veux pas faire partie de ce gang. Mais je vois apparaître à droite et à gauche – plutôt à gauche qu’à droite – des jeunes qui souhaitent que ces choses-là changent. Et je crois que comme cela craque de toutes parts, il va peu à peu se substituer à un état de choses néfastes, un état de choses beaucoup meilleur. Il sera enfin reconnu que le film « public » n’est pas toujours un film public, car les gros succès viennent généralement de films que les producteurs ont faits avec dégoût ou avec crainte. Malgré eux.

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