Jean Cocteau e il cinematografo
Alla fine della sua carriera, e della sua vita, una volta di più Cocteau dà fiducia ai giovani; nel caso specifico è facile riconoscere nel pubblico di cui parla Cocteau i giovani critici dei Cahiers du cinéma.
Questi problemi che allontanano il cinema dall’arte giustificano la distinzione che Cocteau, come Bresson, ha operato fra i due termini “cinéma” e “cinématographe”. Il primo di questi termini racchiude tutte le accezioni negative appena esposte: “cinéma” indica un’arte dell’immediato, un’industria ricca e potente che ha paura del pubblico, un pubblico che ha paura a sua volta di allontanarsi dalle proprie abitudini e di abbandonarsi all’ipnosi collettiva, e il trito accademismo che ne consegue. “Cinématographe”, al contrario, indica l’Arte cinematografica, un’arte anti-accademica ed anti-intellettuale, arma preziosissima e pericolosa (per il pubblico) se impugnata dai poeti.
Uno dei criteri discriminanti nella distinzione fra le due accezioni risiede nell’impiego del montaggio.
Le cinématographe exige une syntaxe. Cette syntaxe n’est obtenue que par l’enchaînement et par le choc des images entre elles. (…)
Mon premier soin, dans un film, est d’empêcher que les images ne coulent, de les opposer, encastrer et joindre sans nuire à leur relief. Or, c’est cette coulée déplorable que les critiques du cinématographe appellent « le cinéma » et qu’ils prennent pour son style. Ils disent couramment qu’un film est peut-être bon, mais « n’est pas du cinéma » ou qu’un film manque de beauté mais qu’il est « du cinéma » et ainsi de suite. C’est contraindre le cinématographe à n’être que distraction au lieu d’être un véhicule de la pensée. Cela conduit nos juges à condamner en deux heures et en cinquante lignes une œuvre qui résume vingt ans de travail et d’expérience.
Non si può dire che Cocteau abbia sviluppato in maniera sistematica una riflessione originale sul montaggio. Appare però chiaro, da questa citazione e da altre che è possibile incontrare nel corso delle sue dichiarazioni sul cinema, che egli propende per un montaggio contrastivo, eisensteiniano, piuttosto che per un montaggio trasparente. Di più: il montaggio trasparente è il contrassegno del “cinéma”, quello contrastivo del “cinématographe”. La maniera di accostare le immagini fra di loro ha a che fare con lo stile, è la firma del poeta, ed è inammissibile che un regista lasci ad altri il compito di montare un film:
Le montage c’est le style. Un cinéaste qui ne monte pas lui-même est traduit dans une langue étrangère.
Il importe que chacun apprenne à découper, à tourner, à monter, à sonoriser, à ne pas se spécialiser dans une des branches de ce métier si dur, bref à ne pas être une des cellules de l’un des organes de l’usine, mais un corps libre qui se jette à l’eau et qui invente la nage à son propre compte.
Un film deve dunque, per essere un’opera d’arte, rispondere perlopiù al progetto di un solo individuo. Nonostante l’apparente contraddittorietà rispetto all’affermazione dell’importanza del lavoro di squadra, questa citazione mette in luce la volontà autoriale del regista, di cui riparleremo più avanti. Strettamente collegata alla questione del montaggio è quella del sincronismo:
Rien ne me semble plus vulgaire que le synchronisme musical dans les films. C’est encore du pléonasme. (…) Le seul synchronisme qui me plaise est le synchronisme accidentel dont d’innombrables expériences m’ont prouvé l’efficace.
Il sincronismo accidentale è quello che Cocteau ricerca ed ottiene già nel Sang d’un poète, in cui tutte le musiche sono state spostate rispetto alla sequenza per la quale erano state scritte. Si può quindi ancora parlare di contrastività: la musica non serve a sottolineare o commentare l’immagine, ma a metterla in rilievo attraverso il contrasto.
Altro criterio di discrimine è il rapporto fra immagine e parola. Capitale è, a monte, la stesura della sceneggiatura: i dialoghi per un film non devono avere niente a che fare con la letteratura:
deux choses sont détestables au cinéma: la littérature et la fausse poésie. (…) Il faut employer le moins de phrases possible, et que chacune apporte sa propre contribution au récit. Ce qui est capital, c’est le récit. On raconte une histoire, on ne doit pas se perdre dans le pittoresque.
Torniamo con questa citazione ad una questione precedentemente affrontata: il pericolo del pittoresco. E’ inutile cercare di condire una sceneggiatura con belle frasi, quando queste frasi non siano necessarie al procedere della narrazione. Uno sceneggiatore inoltre non ha il diritto di disinteressarsi alle riprese, una volta terminato il suo lavoro: parola e immagine devono andare di pari passo (esempio di questa collaborazione fra sceneggiatore e regista è l’esperienza delle Dames du Bois de Boulogne, in cui l’intesa fra Cocteau e Bresson è stata continua e assoluta). Questa ed altre affermazioni di Cocteau attestano in generale un’assoluta priorità dell’immagine sul dialogo nell’economia del film.
Une belle œuvre cinématographique ne relève pas de l’encre, et il importe de se méfier de la séduction exercée par une histoire qui se désintègre à l’écran.
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